Se la paura ci fa perdere la capacità di sentire Dio
Mi domando come sarebbe andata a finire se gli Apostoli non lo avessero svegliato, se avessero continuato a tirar fuori l’acqua dalla barca, ad aggiustare vele e timone in favore di vento, se lo avessero lasciato dormire tranquillo a poppa.
Qualche schizzo gli sarebbe arrivato sul volto e sulla barba o si sarebbe svegliato comunque fradicio di acqua, infreddolito dal vento? E se la barca fosse affondata? Avrebbero cercato le sue mani tra i rottami, nelle onde alte, trascinati dalle correnti?
O forse la tempesta si sarebbe comunque improvvisamente placata, cullata dal respiro regolare del sonno del Maestro? Mi domando in fondo cosa sarebbe successo se gli apostoli avessero avuto davvero fede.
Ma forse, anzi sicuramente, questa pagina è stata scritta per me che, afferrato dallo spavento in ogni tempesta della mia vita e scosso dalle bufere inaspettate, urlo di terrore e chiedo al mio Dio: Dove sei, perché dormi? Non ti importa niente di me?
E mi aspetto sempre un intervento miracoloso che faccia dissolvere le origini delle mie paure e che sciolga tutti i nodi della mia vita. Ancora non ho capito, ancora non ho fede. Ad ogni brivido di paura che mi coglie, ad ogni pericolo che sento incombente, la mia fede deve cominciare daccapo, come un nuovo inizio.
Sulla bilancia della mia vita pesano più le paure che la mia fede. Eppure Lui lo ha detto: «Se aveste fede quanto un granellino di senape…(Lc.17,6)» meno di una lenticchia, appena un chicco di fede e potrei far volare gli alberi o semplicemente accucciarmi fiducioso nel mare in tempesta.
Mi piacerebbe arrivare in porto con Lui, cullato dal suo lento e sicuro remare, sbarcare sulla terraferma tra le sue braccia lasciandomi alle spalle la bufera: al sicuro insomma, «come un bimbo svezzato
in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l’anima mia» (Sal.131, 2).
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