don Luigi Maria Epicoco – Quale spiritualità

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Tornare dentro noi stessi…

Il passaggio che noi dobbiamo fare ci viene suggerito dal vangelo. Il vangelo ci dice cosa succede nei momenti più decisivi della vita delle persone che incontrano Dio. «Tornò in se stesso e disse: “Quanti salariati in casa di mio padre”»…Il figliol prodigo! “Tornò in se stesso”! Perché prima dove stava?

Fuori! Tutti noi viviamo fuori di noi. Il primo passo vero della conversione è tornare dentro noi stessi!

Attenti, e ve lo dico da subito, che non basta tornare in noi stessi! Il ragionamento che fa quel figliol prodigo non è il ragionamento di un santo, ma di un opportunista che ad un certo punto dice: “siccome ho fame, ma non ho più da mangiare e a casa invece c’è da mangiare, bene io torno a casa”…Non è propriamente il ragionamento di un santo, però c’è un primo livello di santità che è la furbizia del buon senso: non conviene vivere fuori di me stesso, conviene tornare dentro noi stessi; cominciare a ragionare che conviene tornare a casa.

Il vero cambiamento per quel figlio avverrà quando, tornando a casa, non troverà quello che lui si aspettava, cioè un padre che fa giustizia, ma un padre che lo perdona. Questo gli cambia la vita. L’imprevedibilità dell’amore gli cambia la vita. Questo per dirvi che la vera conversione è un dono. Quando noi incontriamo l’imprevedibilità dell’amore dentro la nostra vita. Questo non può darselo nessuno da solo. Nessuno può darsi il perdono da solo, nessuno può darsi da solo l’esperienza della misericordia. È una cosa che riceviamo. Ma certo un primo passo noi lo possiamo fare: “Tornò in stesso”!

Allora, quale spiritualità se non quella di tornare dentro noi stessi e cioè di cominciare a prendere sul serio tutto quello che stiamo provando, il dolore che proviamo, il disagio che proviamo. Di prendere sul serio quello che ci sta accadendo interiormente, di non avere paura di farci delle domande e di dire a noi stessi: “io Signore, posso farmi questa domanda, anche se non ho una risposta, perché tu sei dentro la mia vita; io posso permettermi di essere inquieto perché tu sei dentro la mia vita, posso guardare in faccia questa cosa che mi impaurisce perché tu sei dentro la mia vita, posso avere paura perché tu sei dentro la mia vita”. È il primo passo: tornare dentro sé stessi! La via del cuore passa attraverso innanzitutto questo ritorno dentro noi stessi!

Ora, quello che sto per dirvi non prendetelo semplicemente come una tecnica, ma come proposta di un cammino, di un itinerario che ci porta dentro noi stessi.

Capacità di silenzio…capacità di accorgersi

La prima cosa, che a noi manca, è il silenzio! Attenti però, perché noi quando pensiamo al silenzio, pensiamo all’assenza di suoni e di rumori, ma non è questo il silenzio della vita interiore. Il silenzio della vita interiore non è semplicemente assenza di suoni, ma è accorgersi! Le persone fanno silenzio quando si accorgono di quello che hanno davanti agli occhi in quell’istante. Io faccio silenzio davanti ad un tramonto quando mi accorgo del tramonto. Io faccio silenzio davanti a mia moglie quando mi accorgo di mia moglie. Io faccio silenzio davanti alla mia tristezza quando mi accorgo della mia tristezza. Io faccio silenzio davanti a qualunque altra cosa quando mi accorgo.

Questo è l’esercizio profondo che noi dobbiamo fare! Sarebbe troppo facile dirvi: spegnete la televisione, spegnete i cellulari, spegnete la radio…questo sono solo metodi per fare la cosa che conta di più, cioè accorgetevi di quello che avete sotto gli occhi in questo istante… Vi è mai capitato di vivere questa cosa, uno dice: “che hai mangiato oggi? Oh Dio, che hai mangiato oggi?”. Io so dirvi tutta la Summa Theologia a memoria, ma non so dirvi che cosa ho mangiato oggi! Certamente ho mangiato, ma non mi sono accorto…Ora, finche si tratta di un pranzo la cosa non è grave, ma quando non ti accorgi di tuo figlio è un problema serio. Dice: “Sì, ma io vado a lavorare per lui, ma io porto il pane a casa per lui, ma io faccio tante cose per lui”. Ma lui ha bisogno del tuo silenzio, che tu ti accorga di lui. Le persone che hai accanto hanno bisogno che tu ti accorga di loro. Cristo ha bisogno che ci accorgiamo di Lui. Tante volte noi diciamo a Gesù – vedete qui Marta e Maria – che cuciniamo, facciamo, prepariamo il pranzo! Maria si è scelta la parte migliore, ma non perché sta snobbando Marta, ma semplicemente perché Maria si è accorta che c’è Cristo. Non sta facendo delle cose e basta: si è accorta.

Ora, per avere una vita spirituale bisogna avere la capacità di silenzio, la capacità di accorgersi. E quello che può aiutarmi è in realtà tutto. Voi potete esercitarvi a fare silenzio sempre. Vi consiglio di farlo almeno un quarto d’ora al giorno. Esperienza di silenzio, cioè di passare un quarto d’ora della vostra giornata attentissimi a quello che sta accadendo attorno a voi, vivendo nel presente, guardando le cose, guardando perfino gli insetti, guardare quella mosca che vola; vi sembra così banale? No, non lo è perché solo le persone che si accorgono, riescono poi ad ascoltare Dio!

Spero di non distruggere nessun castello della vita interiore di qualcuno con quanto dirò, ma guardate che Dio non parla nelle meditazioni e nei ragionamenti. Dio parla nel presente, il Signore ci parla nella realtà. Ricordate la storia di Elia dentro la caverna…il terremoto, il fuoco, il vento impetuoso. Ma Dio non è in tutta quella roba lì, ma nella brezza di un vento leggero. Fratelli miei, per ascoltare la brezza di un vento leggero bisogna essere accorti. È il primo passo di una vera spiritualità: è una spiritualità che si nutre di silenzio.

Prendere confidenza con la Parola di Dio

Il secondo passaggio è questo. Se il silenzio ci introduce dentro noi stessi perché ci fa accorgere di qualcosa, come si fa a raccapezzarsi in quello di cui ci si accorge? Mi spiego. Provate a stare dieci minuti davanti al Santissimo e a fare silenzio. Vi succederà di tutto: pensieri, emozioni, rumori, situazioni che vi passeranno per la testa, intorno ecc. E poi c’è il Santissimo lì. E tu dici: “ma dove sei, Signore, in tutto ciò? Come faccio a capire che quel rumore sei tu, che non è la tristezza, ma sei tu?”! Qual è la differenza c’è tra l’inquietudine e l’angoscia? Sono cose che si assomigliano moltissimo. Solo che l’inquietudine può essere qualcosa che suscita lo Spirito … l’inquietudine che animava san Luigi Maria da Montfort, che l’ha smosso a fare quello che ha fatto; che animava san Giovanni Bosco quando si sentiva le mani legate al vedere i ragazzi per Torino. È un’inquietudine quella, non era pacifico, era inquieto. E po c’è un’angoscia. Ma le due cose si assomigliano. Come si fa a distinguere tra due cose che si assomigliano? La Parola di Dio ci educa a fare questo tipo di discernimento.

Capite o no che fino a che noi rimaniamo ignoranti di Parola di Dio siamo ostaggio delle cose che ci capitano dentro, senza riuscire mai a capirne niente. Siamo costretti a subire le cose e non più a discernere. Capite perché il rosario può cambiare la vita di una persona? Non perché la Madonna con 50 Ave Maria ti fa la magia, ma perché quelle 50 Ave Maria sono 50 Ave Maria spalmate su cinque parti del vangelo, della vita di Cristo, che noi contempliamo in braccio a lei e che senza rendercene conto quella contemplazione con lei, davanti a quella Parola, davanti a quel mistero, ci cambia, comincia a farci capire la differenza che c’è tra il Golgota ed il Tabor, tra ricevere una Notizia e trasformare quella notizia in carità – pensate all’Annunciazione e la vosota ad Elisabetta -, tra l’angoscia che prova Gesù nel Getsemani e la luce della risurrezione.

Noi siamo ancora troppo ignoranti di Parola di Dio. Non riusciamo a capire che quella è l’unica cosa che ci può far raccapezzare davvero dentro la nostra interiorità. Noi dovremmo tornare a prendere davvero confidenza con la Parola di Dio.

Ma come si fa a prendere confidenza con la Parola di Dio, visto che tutti noi quando pensiamo alla Parola di Dio, pensiamo semplicemente ai grandi esegeti … Eppure Gesù parlava alla gente come noi, alla gente semplice. È che noi abbiamo smesso di essere semplici e per questo non riusciamo più a capire la Parola. Vi faccio un esempio, anche per invogliarvi. Penso che tutti voi avete letto, almeno una volta nella vita, la fiaba straordinaria del Piccolo Principe. Ad un certo punto nella storia del Piccolo Principe c’è la volpe che spiega al Piccolo Principe come si fa ad addomesticarla. E dice: “verrò tutti i giorni qui, alle quattro … e ci vedremo qui ogni giorno”! Si crea un rito. E dice la volpe: “Ogni giorno io mi avvicinerò un poco, finchè ti arriverò accanto e tu mi avrai  addomesticata”. La volpe è la Parola di Dio e certe volte ci sfugge, noi non la capiamo! Ma sapete perché? Perché non la frequentiamo, non ci avviciniamo ad essa, perché noi non ci lasciamo addomesticare dalla Parola e non addomestichiamo la Parola.

Se volete capire qualcosa della Parola di Dio dovete cominciare a leggere la Parola di Dio. Nella fede, nella vita spirituale le cose le riusciamo a capire perché le facciamo. Non preoccupatevi se all’inizio non ci capirete niente, se sembra così assurdo. Ma pensate che c’è bisogno di don Luigi per capire la Parola di Dio? Noi siamo solo strumenti. Il Signore parla a ciascuno di noi, ma dobbiamo capirlo un po’ alla volta. La cosa bella è che i discepoli stessi non capivano subito quello che Gesù diceva. Andate a prendere i meravigliosi discorsi che fa sul pane di vita. Sapete come se ne escono i discepoli ad un certo punto: “Vuoi che andiamo a comprare del pane?”. Voglio dirvi: non vi impressionate se non capite la Parola di Dio da subito. Ma certamente una vita spirituale che non ha la Parola di Dio è in balìa della pancia, non del cuore. Una vita cristiana interiore senza la Parola di Dio non arriverà mai al cuore, si fermerà alla pancia. Ciascuno di noi deve avere il coraggio di varcare quella soglia e poi di avere una bussola! Qual è questa bussola? La Parola è la bussola.

Rileggere la vita in chiave sapienziale: agganciare il motivo, il senso

Un’altra cosa che può aiutare tantissimo. Quando abbiamo varcato questa soglia e quando la Parola di Dio ha cominciato ad entrare dentro di noi, comincia a renderci conto della differenza. E guardate che è liberante poter dire: quella è un’emozione, ma io non sono quella emozione. Quella è una ferita che mi ha fatto mio padre, ma io sono libero di fare anche diversamente da quella ferita.

La vita spirituale non è che ti toglie la sofferenza, ma ti fa rendere conto che tu sei libero da tutta quella roba lì. Ricrea una giusta distanza. La Parola dà un nome alle cose e dando un nome alle cose le rivela e proprio perché le rivela, lì il Signore ci parla. Solo una persona che ha vissuto così, ad un certo punto ha la capacità di rileggere in maniera sapienziale la propria storia. Ma se voi mi domandate: “Perché il Signore ti ha voluto prete, a L’Aquila, in un terremoto”, io non lo so il perché; avverto dentro di me, però, che c’è un motivo e più vado avanti più mi sembra di incominciare ad intuire il motivo. Ciò che mi ammazza, invece, è quando perdo di vista questo motivo, quando mi accorgo che in realtà tutto questo non ha un senso. La nostra vita è insopportabile quando non troviamo più un senso per cui vivere. Uno vorrebbe avere la spiegazione perché ha il cancro e ha sei mesi di vita, e il Signore lo accompagna dentro quel buio e lui comincia ad avere l’intima certezza che c’è un motivo e vive perché avverte questo e a volte ha la grazia anche di poterlo dire.

Mi torna sempre alla mente il racconto, nell’A.T., di Giuseppe venduto dai fratelli. Quando Giuseppe incontra di nuovo i suoi fratelli in Egitto, a un certo punto si rivela loro: “sono io”. Essi sono tutti atterriti, temono di essere uccisi; invece Giuseppe dice loro: “non abbiate paura, non angustiatevi, non voi mi avete mandato qui in Egitto, ma il Signore mi ha mandato qui in Egitto perché salvassi la vita a me e a voi”. Quel poveretto ne ha viste di cotte e di crude dentro la sua esistenza. La grazia qual è? Che tu a un certo punto riesci a capire che c’era un filo, un significato, che il Signore ha riempito di significato l’ingiustizia di un fratello che ti voleva ammazzare e che ti ha venduto agli Egiziani. Da quella cosa brutta, orribile, ingiusta Dio tira fuori un motivo.

Avere una vita spirituale significa agganciare questo motivo dentro di noi. È avvertire che la tua vita ha un senso. Dice una preghiera eucaristica: “E perché non viviamo più per noi stessi, ma per Lui che è morto e risorto per noi…”. Perché non viviamo più per noi stessi, ma perché finalmente c’abbiamo un motivo. Gesù perché è venuto nel mondo? Perché tutti finalmente c’abbiamo un motivo. Cristo è il motivo. La vita vale la pena perché c’è Cristo. Questa è una cosa che io posso dirvi a parole, ma ad un certo punto la dobbiamo sperimentare dentro di noi.

Sentire di avere un Padre e capire di essere figli

Voglio lasciarvi un’ultima cosa. A che cosa serve scendere dentro noi stessi, varcare quel buio, attraversare quella zona d’ombra, ascoltare il dolore, il disagio che ci portiamo dentro, arrivare fin lì sotto? Dice san Paolo: “è lo Spirito che grida dentro di noi: Abbà, Padre”.

Sapete cosa succede quando uno entra così profondamente dentro se stesso? Che Dio non è più Dio, ma è papà e tu hai capito che sei figlio. Non sei più semplicemente una creatura, sei figlio. Questo ci cambia la vita! Sapere che ci ama cambia la vita, non sapere che esiste. E l’esperienza del Padre è sentire dentro di noi che abbiamo un Padre. Sentirlo, non saperlo. Sentire nella parte più profonda di noi: Abbà, papà, Padre. E sentirci addosso quello che Gesù si è sentito addosso il giorno del battesimo nel fiume Giordano: “Questi è il Figlio mio, l’amato, quello in cui ho posto tutta la mia fiducia”.

Vi siete accorti che quello che ci fa vivere è questo: quando uno si sente amato e con la fiducia addosso. Questo tira fuori i capolavori da noi. Quand’è che noi facciamo casini normalmente? Quando non ci sentiamo amati. Quando qualcuno non si fida di noi, tira fuori sempre il peggio di noi. Tu non vorresti sbagliare, ma alla fine sbagli.

Come fa Dio a tirar fuori quel figlio che è seppellito dentro di noi? Amandoci. A che serve veramente la vita spirituale, a che serve lasciarsi aiutare da Maria ad entrare nel cuore? A scoprire che siamo figli, a scoprire che il Signore vuole dire a ciascuno di noi: “io ti amo e mi fido di te”. “ma io…”. “Io ti amo e mi fido di te”. “Ma, Signore, ho ammazzato…”. “Io ti amo e mi fido di te”. Vorremmo che Dio cambiasse la nostra vita, invece Dio si fida di ciascuno di noi, non ci cambia la vita perché si fida più di noi che della vita cambiata e sa benissimo che quando noi ci lasciamo amare, possiamo noi cambiare tutto, a partire da noi stessi. “Ti amo e mi fido di te”.

Maria: madre che tira fuori il figlio che è dentro di noi

Perché ci ha dato Maria? Perché ciascuno di noi ha bisogno di una madre che curi quel figlio che c’è dentro di noi, perché ciascuno di noi ha bisogno di sentirsi protetto e curato, e ciascuno di noi ha bisogno che questo figlio di Dio che magari ancora non conosce e che è seppellito dentro ciascuno di noi, venga tirato fuori un po’ alla volta.

E chi c’è di più ostinato di una madre? Nessuno. Sappiate che Maria ci ama di un amore ostinato. Ostinato significa che voi potete sbattere a terra, fare anche le cose peggiori al mondo, ma quella donna non smetterà di cercare ogni mezzo per tirarci fuori da lì. E lo fa per vocazione, cioè è la sua vocazione esserci madre. Io non so voi, ma a me questo mi rasserena tantissimo perché in fin dei conti tu puoi essere anche un figlio che dà problemi, inquieto, che fa danni, ma la cosa che ti fa rimettere in piedi quando hai fatto danni è sapere che c’è tua madre, che c’è una madre.

Il Signore ci ha dato una madre, non ci ha dato un dito puntato, ma una madre che ci ricorda, come tutte le madri ciò che conta. Tutte le madri sono noiose, sempre le stesse cose, ma lo sono perché noi abbiamo bisogno di qualcuno che ci ripeta sempre ciò che conta, sempre…Maria è noiosa: “Fate quello che vi dirà”. Non troveremo in Maria cose diverse. Quando ogni tanto sento rivelazioni private, come se Maria dovesse dirci qualcosa di eccezionale, ma cosa vuoi che ti dica di più se non quello che dice costantemente, cioè che Cristo è il motivo vero per cui vale la pena vivere e che ascoltarlo è vita eterna! Non aspettiamoci nient’altro e lasciamo che questa Madre possa esercitare la sua maternità su ciascuno di noi.

In sintesi

Ricordatevi:

  • noi possiamo fare molto la differenza: se da una vita esteriore, cioè da una vita consegnata agli eventi, abbiamo il coraggio di passare ad una vita interiore;
  • cosa significa arrivare ad una vita interiore? Cominciare a comprendere che nella vita ciò che conta è la posizione che tu assumi davanti alle cose che ti accadono;
  • e che tutto quello che provi, che pensi, che ti capita non devi gestirlo, ma devi ascoltarlo, devi andarci dentro, devi penetrarlo davvero fino in fondo e puoi permetterti di fare questo perché c’è Cristo dentro la tua vita, perché non sei solo;
  • e al fondo di quel buio che cosa troverai? L’esperienza del Padre. Il più grande dono di fede che possiamo avere è questo: per dono, cioè per fede, ad un certo punto dalla nostra bocca passa questa parola dello Spirito: Papà. Sperimentiamo l’amore dela Sapienza eterna, direbbe san Luigi Maria de Montfort;
  • questa esperienza del Padre tira fuori da noi il capolavoro che è seppellito dentro ciascuno di noi.

Forse voi non ve ne siete accorti, ma noi siamo unici e davanti a Dio rimaniamo unici, per quanto possiamo fare assemblee. Sapete che nella Chiesa ci sentiamo fortissimi quando riusciamo a metterci insieme. Tuttavia io sono sempre preoccupato perché quando c’è troppa massa ci si sente forti e al sicuro nella parte orrizzontale. Invece Dio, solitamente, fa un sacco di cose belle con i piccoli resti. Quindi, non vi scoraggiate quando siete pochi perché quattro santi possono rivoluzionare tutto. Bene, ricordatevi che questa esperienza di unicità è scoprire davvero quel santo che è seppellito dentro di noi.

Essere felici significa incontrare Cristo così e tirar fuori questo capolavoro da noi. E una persona che è felice non muore mai. Pensate al Montfort. Un uomo felice continua a vivere anche questa sera, quà. La felicità di quell’uomo continua a contaminare noi. Come è possibile? Lo sappiamo benissimo: Dio fa questi capolavori.

Ma ciascuno di noi deve domandarsi se vuole farsi toccare da quest’opera, se vuole dare il suo cuore a Dio. Dio non ha bisogno innanzitutto delle nostre mani e delle nostre intelligenze. Ha bisogno innanzitutto del nostro cuore perché il cuore è la parte più decisiva di una persona, la parte più vera, affettiva, profonda. Secondo voi un figlio ha bisogno di un pasto o di una madre? Uno studente ha bisogno di nozioni o di un educatore? Quando io dico madre e un educatore, sto parlando di questione di cuore, non di notizie o di cose. Bene, noi dobbiamo diventare così. Non distributori di informazioni, di teologie, non distributori di cose, fossero anche panini per i poveri, noi dobbiamo essere distributori di cuore, cioè di ciò che conta, di ciò che può riempire di significato la vita di una persona, così come Cristo ha riempito la nostra.

Trascrizione da video non rivista dall’autore.
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