don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo di oggi, 31 Agosto 2022

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“In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagòga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva”.

Come si può entrare in una casa e rimanere indifferenti alla sofferenza che vi è dentro? Come ci si può sedere a tavola di una famiglia e ignorare che nella stanza accanto c’è a letto una persona che soffre? Eppure molte volte il nostro modo di essere Chiesa è davvero molto miope. Ci prendiamo sempre la parte migliore e vincente della società, dimenticando che la nostra priorità devono averla i sofferenti.

A tutti piace un gruppo giovani, ma a pochi piace perdere tempo nelle case degli anziani. A tutti piacciono le famiglie felici, ma pochi si domandano cosa si potrebbe fare per tutte le ferite familiari che si consumano nel silenzio. A tutti piacciono i bambini vivaci che ti rallegrano la giornata, ma pochi sono disposti a prendersi a cuore bambini con disturbi o gravi forme di handicap.

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Eppure devo testimoniare che molte volte scherzando con qualche prete ci diciamo “possibile che tutti i casi più disperati vengono in parrocchia da noi?”. Ebbene si, vengono da noi perché Gesù ci ha insegnato che c’è sempre posto per la “suocera di Pietro” nel nostro stare insieme come Chiesa.

Dobbiamo come Gesù “chinarci”, ed essere Chiesa così. La guarigione non consiste per forza o prioritariamente nel togliere un problema, ma nel farlo smettere di essere una prigione. C’è un servizio che può scaturire anche dalla sofferenza. Un apostolato che può essere fatto solo da chi soffre, da chi si trova su una cattedra scomoda che è quella della croce. C’è un rimettersi in piedi che coincide con una ripresa di libertà che nella solitudine a volte si perde.

La vicinanza di Gesù guarisce/libera quella donna. Non dovremmo essere anche noi cosi? Non dovremmo anche noi “chinarci”, prendere per mano, accompagnare chiunque si sente prigioniero di quella febbre che è l’infelicità?

Fonte: fede 2.0

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“La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei”. Il Vangelo di oggi ci riporta un chiaro esempio di quella che noi chiamiamo preghiera d’intercessione. Pregare per qualcuno non è un atto magico, ma è un modo per voler concretamente bene. Infatti è proprio la mediazione di queste persone che permette a Cristo di compiere per questa donna qualcosa: “Chinatosi su di lei, intimò alla febbre, e la febbre la lasciò”. Il primo miracolo è il “chinarsi” di Gesù.

La nostra vita viene radicalmente cambiata quando ci si accorge che non si è soli, e che qualcuno si è avvicinato a noi soprattutto quando tutti magari sono andati via. Gesù fa questo, si avvicina a noi quando siamo soli e senza forze. Oserei dire che si avvicina a noi anche quando siamo senza fede e senza preghiere, infatti il Vangelo non ci riporta nessuna parola di questa donna, ma solo la preghiera degli altri.

E in questa prossimità ci risolleva, ci rimette in piedi donandoci di nuovo uno scopo, un motivo per cui serviamo: “Levatasi all’istante, la donna cominciò a servirli”. Ecco il miracolo dell’intercessione: pregare fino al punto in cui attraverso di noi il Signore può agire nella vita degli altri.

Ciò sta a significare però che pregare non significa solo mettere a disposizione le nostre parole e la nostra fede, ma anche le nostre mani e il nostro impegno. In questo modo anche il nostro corpo diventa intercessione, diventa come un sacramento attraverso cui Cristo tocca la vita degli altri.

AUTORE: don Luigi Maria Epicoco | PAGINA FACEBOOK