Due cose sono assolutamente sbagliate: credere che Dio si imponga alla nostra vita, e credere che comunque vada sarà un successo. Il Vangelo di oggi ne offre una retta interpretazione.
Passiamo la vita a cercare segni incontrovertibili sull’esistenza di Dio e non prendiamo sul serio le costanti proposte latenti che egli ci fa nel nostro quotidiano. Se Dio si mostrasse attraverso la sua onnipotenza noi non avremmo più nessuna scelta.
Ecco perché manda “servi” ad invitare, a provocare, a stimolare, a coinvolgere ciascuno di noi, perché l’andare da Lui sia una nostra scelta e non l’unica scelta possibile. Ma pare che noi abbiamo sempre una buona scusa pronta per disertare questo incontro: <<Ho da fare; ho figli; vorrei un po’ di tempo per me; ho un sacco di problemi; la chiesa mi ha deluso; i preti sono tutti dei disgraziati…», insomma una raccolta sempre scontata e sempre attuale delle mille scuse possibili di cui amiamo armarci pur di non accettare un incontro decisivo con Dio, e di conseguenza con il senso della nostra vita. In secondo luogo, partecipare al suo banchetto, sedere alla sua tavola, avere un rapporto con Lui non è come indossare un portafortuna.
La strafottenza con cui tante volte crediamo, diventa la ausa della nostra rovina, perché pensiamo che comunque vada sarà un successo, che basta entrare “in casa del Padrone” per dire che lui aggiusta tutto, mentre noi continuiamo ad essere sempre gli stessi, sempre uguali nelle nostre scelte e nella nostra qualità di vita.
L’abito nuziale non è essere “bravi, buoni e belli”, ma aver deciso di cambiare la propria vita, così come uno dismette dei vestiti vecchi e sporchi e decide di indossarne di belli e puliti. Non si può dire di credere e non cambiare nulla della propria vita.
Credere esige delle scelte, dei cambiamenti radicali, la dismissione di ciò che è vecchio e sporco, per far spazio a una decisione nuova. Senza questo cambio d’abito nemmeno la frequenza quotidiana ai sacramenti può salvarci, anzi anche di essi ci verrà chiesto il conto.
Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1, 26-38
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Parola del Signore