don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo di oggi, 13 Settembre 2022

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“Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!»”.

Sarà stata silenziosa questa processione verso il cimitero. Ci sono dolori che non contemplano colonne sonore, che non sopportano parole. Il silenzio è il colore di certe disperazioni. Non ci sono nemmeno più preghiere, perché dove finisce la speranza non c’è nemmeno più l’ombra della fiducia. È un dolore così che Gesù incrocia nel Vangelo di oggi. La precisazione che quella mamma con un figlio morto è anche una vedova, sta a significare la totale disperazione di quel dolore: recisa nel suo frutto, e recisa nella sua appartenenza.

Eppure Gesù non rimane indifferente. Non ha teologie da contrapporre. Non ha spiegazioni che la aiutino a rassegnarsi. Le dice: “Non piangere”. Vuole stabilire un limite a quella sofferenza. Cristo è colui che rende finito il dolore destinato ad essere infinito. Mi piacerebbe che questo Vangelo giungesse soprattutto a chi ha perduto qualcuno di molto caro, a chi ha perduto un figlio: il tuo dolore ha le ore contate. Non sarà in eterno così. Ti sarà restituito ciò che ti è stato tolto. Parola di Gesù: “«Ragazzo, dico a te, àlzati!».

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Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre”. Ognuno che soffre può trovarsi in questo racconto. Non è solo la vicenda di una donna sola, o di un dolore solo. Tutta la vita è scandita dai gesti di questo racconto. Gesù che si accorge, che pone un limite, che restituisce. Avere fede significa ricordarsi che tutta questa nostra vita finisce nella vita eterna. E la vita eterna è la presa a cuore di ciò che ci manca, di ciò che ci fa soffrire. È la restituzione in una maniera completamente inimmaginabile e definitiva di ciò che amiamo.

Può sembrare solo consolatorio, ma è fondamentalmente il cuore di ciò che è la Speranza.

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Nella piccola città di Nain Gesù incontra la processione funebre di un ragazzo. Dietro la bara c’è la madre affranta. Aveva prima perso il marito, e ora ha perduto anche il suo figlio unico. Questa donna rappresenta la personificazione della disperazione umana.

È interessante che per tutto il racconto del Vangelo ella non parla, non dice nulla, non chiede nulla. Questa donna è solo nudo dolore. È la stessa cosa che capita nella vita quando si vivono alcune cose che ci tolgono anche i ragionamenti, le parole, e persino le preghiere.

Soffriamo e basta, senza via d’uscita, senza riuscire a dare neppure una forma compiuta alla nostra sofferenza. Gesù rimane colpito dal dolore di lei: “Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: […] Continua a leggere qui.

Fonte: Fede 2.0

AUTORE: don Luigi Maria Epicoco | PAGINA FACEBOOK