L’intensa pagina del Vangelo di oggi risponde a una domanda: chi dice che Gesù è veramente ciò che dice di essere? Chi ce ne dà garanzia? Gesù risponde con le parole del Vangelo che Giovanni riporta e che in sintesi suonano un po’ in questo modo: basta aprire gli occhi e tutto è evidente.
Ma il nostro vero problema è esattamente questo: la semplicità. Solo le persone capaci di semplicità sanno aprire gli occhi e accorgersi delle cose. Chi ha il cuore semplice chiama le cose con il loro nome.
Gli altri, invece, i complessati complicano tutto attraverso pensieri, interpretazioni, ragionamenti, e si perdono la cosa che conta di più: la nuda e cruda realtà. Questo è il motivo per cui Gesù cita Giovanni Battista: <<Egli era una lampada che arde e risplende, e voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce>>.
Tutti, all’epoca di Gesù, erano affascinati da Giovanni, anche chi lo criticava. Ma Gesù dice: a che cosa serve ammirare un segnale stradale se poi non si prende sul serio ciò che questo segnale indica? Come si può dire di ammirare Giovanni se poi non si prende sul serio l’evidente fatto che è lo stesso Giovanni a indicare in Gesù il compimento di tutte le attese? Ma riportando il medesimo meccanismo nella vita di ogni giorno, il Vangelo di oggi ci interroga seriamente se siamo semplici o complessati.
<<io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste. E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?>>.
In fondo Gesù ha ragione: ci sembra che conti di più il consenso che scoprire davvero la verità. Vogliamo essere approvati dagli altri più che chiederci se effettivamente stiamo facendo la cosa giusta. Ma chi vive così può mai veramente capire il messaggio di Gesù? Può mai veramente dire di averlo conosciuto?
Il problema non è capire chi ci assicura che Gesù dice il vero, ma chi ci assicura se noi siamo capaci di accorgercene.
Commento di don Luigi Maria Epicoco al Vangelo di Gv 5, 31-47.
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