Davanti all’evidenza ci si arrende. È questo l’atteggiamento più ragionevole che una persona ha quando sta discutendo.
Un adagio filosofico suona così: <<Contro i fatti non servono più gli argomenti>>. Ma quello che a noi sembra più ragionevole in realtà non è l’atteggiamento più diffuso. Infatti davanti all’ evidenza invece di arrendersi la si può negare. Questo è il motivo per cui il “fatto” della Pasqua suscita anche questo tipo di reazioni: <<”Dichiarate i suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa verrà all’orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia”. Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi>>.
La verità però è che per quanto si possa cercare di coprire un fatto con una menzogna, prima o poi la verità emerge. Sono i duemila anni di storia del cristianesimo la grande risposta a questo tentativo di seppellire la Pasqua. Ma ciò che dovrebbe preoccuparci non è tanto come l’evento della risurrezione di Cristo è stato accolto dai grandi sistemi politici e culturali, ma quante volte siamo noi con le piccole e grandi scelte di ogni giorno a comportarci come grandi occultatori del fatto della risurrezione.
Qualcuno giustamente si domanda se incontrando noi, se anche soltanto guardandoci negli occhi, in una qualche maniera si intuisce che Gesù è Risorto. Se la gioia della Pasqua non trasfigura concretamente la nostra vita allora noi non siamo diversi da quelli che hanno inventato storie per nascondere la resurrezione di Gesù.
Un cristiano è tale solo se la sua vita è segno della Pasqua. Un cristiano è tale non se non soffre, o se non ha dubbi, o se non cade mai. È tale se nonostante la sofferenza, le inquietudini e le proprie miserie non tiene mai nascosta l’unica luce che può davvero riempire di significato la sua storia: la luce di Gesù risorto. Non basta credere in Gesù, bisogna imparare a credere in Gesù risorto.