Se per un istante riuscissimo a non leggere il Vangelo in maniera moralistica forse riusciremmo a intuire una lezione immensa nascosta proprio nel racconto di oggi:
“Allora si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate (…) quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?»”.
È inevitabile schierarsi subito dalla parte di Gesù leggendo di questo modo di fare, ma prima di far partire una nociva antipatia nei confronti degli scribi e dei farisei, dovremmo renderci conto che ciò che Gesù rimprovera loro non è l’essere scribi e farisei, ma la tentazione di avere un approccio alla fede solo di natura religiosa.
Quando parlo di “approccio puramente religioso” mi riferisco a una sorta di caratteristica comune a tutti gli uomini, in cui gli elementi piscologici vengono simbolizzati ed espressi attraverso dei linguaggi rituali e sacri, appunto religiosi. Ma la fede non è esattamente coincidente con la religione. La fede è più grande della religione e della religiosità.
Cioè essa non serve a gestire, come fa l’approccio puramente religioso, i conflitti psicologici che ci portiamo dentro, ma serve a un incontro decisivo con un Dio che è persona e non semplicemente morale o dottrina. Il chiaro disagio che questi scribi e farisei vivono, emerge dal rapporto che essi hanno con la sporcizia, con l’impurità. Per essi diventa sacra una purificazione che ha a che fare con le mani sporche, ma pensano di poter esorcizzare attraverso questo tipo di pratiche tutta la sprocizia che una persona accumula nel proprio cuore. Infatti è più facile lavarsi le mani che convertirsi.
Gesù vuole dire loro esattamente questo: non serve la religiosità se essa è un modo per non fare mai esperienza della fede, cioè di ciò che conta. È solo una forma di ipocrisia travestita da sacro.
AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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