“«Giovanni non ha fatto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui”.
L’espressione finale del Vangelo di oggi sembra fornirci la chiave di lettura migliore. Infatti di Giovanni non si raccontano miracoli, e tutto quello che ha tentato di fare è umanamente fallito con la sua morte cruenta ad opera di Erode. Eppure quello che sembrava essere un fallimento non lo è stato davvero.
Tutta la vita di Giovanni ha sempre indicato ciò che contava, e paradossalmente anche la sua morte. E forse pensando proprio alla violenza della morte torna in auge il tema fondamentale del Vangelo di oggi: Quando non si hanno più ragioni allora si sceglie la violenza. Era così ai tempi di Gesù ed è così anche ai nostri giorni:
“I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo. Gesù rispose loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?»”.
Finché la violenza ha a che fare con le pietre è facilmente riconoscibile, ma ci sono tantissimi modi di usare la violenza. C’è quella delle parole ad esempio, o anche quella dei silenzi. Nelle nostre case le parole o i mutismi sono forme di violenza che usiamo quando i nostri dialoghi non riescono ad avere la meglio.
Gesù sta tentando di dialogare con i Giudei, ma davanti alle evidenze che Egli porta, l’unica risposta che riceve è quella della violenza. Sentirsi i possessori della Verità delle volte ci arma contro gli altri. La prova vera di essere nella Verità è la capacità di dialogare sempre, e con tutti. E lì dove il mondo protesta noi dobbiamo poter offrire invece il martirio del dialogo, sempre, anche quando sembra inutile, anche quando sembra fallimentare.
Perché alla fine non importa se quello che di giusto abbiamo fatto ha portato il risultato sperato. A noi il Signore ha chiesto di testimoniarlo e non di convincere il mondo. Quanto sarebbe bello se il mondo ci riconoscesse come cristiani proprio per la nostra capacità di dialogo.
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Si avverte che mancano poche ore all’inizio della settimana santa dal clima teso che si respira nelle pagine del Vangelo di Giovanni che stiamo leggendo durante questi giorni. “I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo. Gesù rispose loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio»”.
Ancora una volta il Vangelo ci mette davanti a ciò che di scandaloso Gesù è venuto ad annunciarci. Finché lo prendiamo sul serio solo nella sua umanità, nelle dinamiche relazionali, nella lettura orizzontale della sua vita e del suo messaggio, Cristo è utile ma fondamentalmente innocuo. Ma ciò che fa di Lui qualcosa di diverso è proprio la Sua divinità.
Gesù non è solo veramente uomo ma è anche veramente Dio. Noi cristiani lo dimentichiamo molto spesso. Non ci scontriamo molto con questo scandalo, e ciò lo si vede dal fatto che di Lui ci prendiamo solo ciò che ci conviene, ciò che ci serve, ciò che possiamo capire e utilizzare a nostro vantaggio. Essere cristiani significa pensare la propria vita a partire dalla totalità della persona di Gesù, cioè dalla sua umanità e dalla sua divinità insieme.
Se Gesù è Dio tutto cambia per noi. Il suo insegnamento non è solo valido perché utile in termini esistenziali, ma è valido perché ha una profondità più grande della nostra semplice esistenza. Amare, allora, non è più un precetto ma una via di cielo che Egli ci ha lasciato.