AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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Tutti siamo sempre spaventati dall’esperienza della fine. Il pensiero della morte è una paura inconfessata che abita nel cuore di ogni uomo. E lo è perché in fondo non sappiamo nulla di quel momento, né cosa ci aspetta. Il Vangelo di oggi prende di petto esattamente questo mistero e getta luce su quel buio raccontandoci con precisione su cosa dovremmo fare i conti.
In termini cinematografici dovremmo dire che il vangelo di oggi fa spoiler del finale, ma in realtà è proprio sapendo il finale che noi possiamo vivere diversamente la nostra vita. È infatti nelle parol e di questo finale che possiamo ripensare l’essenziale del viaggio della nostra esistenza: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”.
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Ciò che conta è essersi accorti del fratello che ci è accanto, perché solo quando ti accorgi che esiste qualcosa di diverso da te stesso allora sei libero da quel grande inferno che è l’egoismo. In fondo chi è troppo concentrato su di sé non riesce mai ad essere felice, è troppo occupato a riempire gli spazi vuoti che lo abitano per accorgersi che ci sono anche altre cose.
La carità non è solo un modo di fare del bene agli altri, ma è la grande liberazione di chi è imprigionato e impantanato nel proprio io. Chi non si esercita in questo riconoscimento dell’altro, soprattutto quando soffre, condanna se stesso a una maledizione che lo lascia imprigionato in una perenne lontananza da ciò che conta. Questo è l’inferno: essere lontani da ciò che conta.
“Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli”.
La lontananza, la maledizione, il fuoco, non sono altro che il tentativo di descrivere l’aver perso ciò per cui vale la pena vivere: è il fratello che abbiamo accanto, non il nostro “ego”.
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Se Dio fosse un’evidenza non avremmo in realtà molta scelta. È proprio la sua apparente assenza che ci mette nella condizione di poter esercitare la nostra libertà. Questo appare evidente nella pagina del Vangelo di oggi in cui “buoni e cattivi” sono accomunati dal medesimo stupore: “Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”.
In fondo è l’esperienza che facciamo tutti noi: infatti l’unica cosa che vediamo con evidenza sono i volti dei fratelli e delle sorelle che abbiamo accanto, e molte volte questi volti non ci ricordano Dio, ma il loro brutto carattere, i loro errori, o anche la loro bellezza, i loro preghi, ma certamente non ci salta in mente di pensare che dietro ognuno di loro si nasconde Dio.
Eppure la lezione del Vangelo di oggi è proprio questa: dice Gesù “ogni volta che avrete fatto o non avrete fatto qualcosa a uno di questi miei fratelli lo avrete fatto o non lo avrete fatto a me”. Non c’è molto spazio per le interpretazioni, il Vangelo ci dice chiaramente che Dio è presente anche se non lo vediamo, e il luogo dove è presente è l’altro che mi è accanto.
Decidere di prendere sul serio le persone che abbiamo vicine, amarle, accoglierle come sono, perdonarle, fare qualcosa per esse, è l’unico modo attraverso cui possiamo fare qualcosa a Dio stesso.