C’è qualcosa di estremamente scandaloso nel messaggio di Gesù. È lo scandalo della resurrezione. Si può discutere di tutto ma non bisogna mai dimenticare che c’è un argomento che chiude tutte le discussioni, e questo argomento è la morte: “In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte».
Gli dissero i Giudei: «Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Chi osserva la mia parola non conoscerà mai la morte”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?».
Ma Gesù ha veramente ragione, non è solo un argomento simbolico, o una provocazione per chi lo ascolta. La morte è tale solo se porta con sé la parola fine. Se la morte non ha più in sé la parola fine allora essa non è morte, è pasqua. La parola pasqua significa “passaggio”. La morte, grazie a Lui, non è più morte ma è sempre Pasqua, è passaggio. Ma questo annuncio non può giustamente trovare un’accoglienza da parte di tutti. È più logico credere nella morte che in quello che ci è venuto ad annunciare Cristo.
Ma che cos’è la fede se non una rottura in una logica che ha come risultato solo la morte? Che cos’è l’incontro con Cristo se non l’incontro con un imprevisto? Credere in Abramo significa credere in qualcosa che rimane ancora nel controllabile. La storia di Abramo è una storia che non ha ancora toccato l’inaudito.
Gesù conduce la storia di Abramo fino alla soglia del “mai sentito prima”. Gesù fa così con ciascuna delle nostre storie. Le porta fino alle soglie di una novità che è più grande della nostra immaginazione. Una novità che non teme più la morte, ma che trova il coraggio di attraversala con fiducia come gli israeliti attraversarono il mar Rosso.
Ma una cosa sono le storie degli altri, e un’altra cosa è la propria storia; è più facile tirare pietre che credere: “«In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio”.
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Si può discutere con qualcuno, anche animatamente, ma c’è un limite varcato il quale non si può più discutere, bisogna reagire. Gesù nel Vangelo di oggi varca questo limite. Sta discutendo con i Giudei riguardo a se stesso, al suo messaggio, alla sua missione, e finché la discussione si mantiene sul teologico tutto procede in maniera animata ma fondamentalmente serena.
Credo che ai tempi di Gesù avvenissero spesso discussioni del genere: visioni teologiche discordanti che cercando di affermare ognuna la propria veridicità. Ma Gesù varca il confine. Egli non è un teologo sopraffine, è molto di più: Egli è Dio stesso. «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono».
Come si può immaginare questa affermazione chiude il discorso e apre una reazione: «Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui.»
Eppure Gesù non può fare a meno di varcare quel confine. Ancora oggi attraverso questo Vangelo tenta di dirci che il cristianesimo non è una teologia dove ci si ritrova tutti più o meno d’accordo. Il cristianesimo è Gesù stesso, perché Egli è Dio. Dire “Gesù è il Signore”, significa racchiudere tutto ciò che è la fede cristiana.
Davanti a questa verità non esiste neutralità, o si crede in Lui o si è contro di Lui.