Credo che per capire la pagina del vangelo di oggi, dobbiamo sottolineare un dettaglio che non si riesce a desumere immediatamente: Gesù è seduto a tavola e la compagnia non è delle migliori, infatti è seduto a tavola con pubblicani e peccatori. Tra i tanti discorsi che ci riporta l’evangelista Luca, nella pagina di oggi Gesù racconta una strana parabola in cui tesse l’elogio di un amministratore disonesto.
“C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore”. Forse il pretesto di questa parabola nasce da qualche fatto di cronaca locale conosciuto non solo da Gesù ma anche dai suoi ascoltatori.
Quest’uomo aveva rubato durante la sua amministrazione e il padrone accortosi lo vuole lincenziare. Per salvarsi il futuro escogita un’ultima disonestà: “L’amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua.
Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Se per tutta la vita ha preso per sé, alla fine per salvarsi la vita dona (condona) agli altri. È questa la scaltrezza che deve avere un peccatore che si converte.
Infatti Gesù sembra suggerire che la vera furbizia non è accumulare ma donare, perché solo il dono ci salva il futuro. Non importa quindi di ricostruirsi la fedina penale perduta, importa che cosa vogliamo farne del tempo che rimane. Sta suggerendo ai suoi commensali come comportarsi da quel momento in poi.
AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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