Certe pagine del Vangelo vanno lette fino al punto da scontrarsi, infatti è inevitabile non impattare con parole così esigenti: <<Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo>>.
Infatti basta voler seriamente bene a un figlio, a un marito, a una moglie, a un amico e domandarsi se siamo disposti ad odiarli per amore del Vangelo. Ma la vera domanda è se odiare significa la prima cosa che ci passa per la mente o qualcosa di molto più profondo. Gesù non ci sta chiedendo di fare del male a chi amiamo, ma di ricordarci in maniera disincantata che per quanto noi possiamo amare queste persone, esse non sono Dio. L’amore che abbiamo per loro è la cosa che ci ricorda di più Dio, ma loro non sono Dio.
Trattarli come se lo fossero significa paradossalmente rimanere delusi e fargli seriamente del male. In questo senso Gesù chiede di non dar loro il primo posto, o se proprio hanno il posto numero uno ricordarsi che Dio è il posto zero, cioè è Colui che rende possibile ogni classifica perché è fuori classifica. Poi però Gesù aggiunge: <<Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo». E così ci dice che un vero discepolo non è solo Colui che sa mettere al posto giusto ciò che conta, ma è anche colui che con realismo si prende la responsabilità di ciò che di reale c’è nella sua vita, e decide di farsene carico non in maniera eroica, ma in maniera umile, seguendolo.
Però basta pensare a questi due aspetti per accorgersi di come la maggior parte di noi è incapace a vivere così. Questo però invece di scoraggiarci deve farci ricordare che solo il Signore può rendere possibile ciò che ci domanda. È per Grazia sua che possiamo amarlo veramente. È per Grazia sua che possiamo prenderci la responsabilità della nostra vita fino in fondo e andargli dietro. Avere fede significa ricordarsi che Dio rende sempre capaci coloro a cui domanda qualcosa. È la fede in lui e non nelle nostre forze che fa la differenza.
Commento di don Luigi Maria Epicoco.
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Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 14, 25-33
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Parola del Signore