La parabola dei vignaioli malvagi è forse la prefigurazione più chiara di quello che sta per accadergli di lì a poco a Gerusalemme dovendo affrontare la sua passione, morte e resurrezione. Ma la cosa che più ci colpisce è che ognuno di noi è nella posizione di questi vignaioli. Infatti la vigna della nostra stessa esistenza non ce la siamo dati da soli.
Qualcun altro ci ha dato la vita, e noi ci ritroviamo a viverla come dei mezzadri che non devono mai dimenticare di essere degli affittuari e non dei padroni. La spiritualità della mezzadria è ciò che di più dobbiamo imparare a coltivare nella nostra vita. Infatti questa spiritualità ci richiede fondamentalmente due cose: amare la vita come se fosse davvero nostra, ma avere l’umiltà di ricordarsi che c’è Qualcuno a cui dobbiamo consegnare il raccolto. Solo la memoria di questo realismo può davvero ridimensionarci.
Ricordarsi che un giorno dovremo morire, può aiutarci a smettere di vivere come se fossimo eterni o peggio ancora come se non dovessimo mai rendere conto a nessuno. Infatti per quanto possiamo essere intelligenti, scaltri, intrallazzati, ricchi, attrezzati, alla fine moriremo tutti. Ma possiamo decidere di vivere questa fine come un incontro, o questa fine come solo una fine. La cosa bella è che a questa fine ci si può arrivare solo se allenati.
Tante cose che ci capitano nella vita sono come delle “visite” che ci ricordano chi siamo davvero: gioie, dolori, esperienze positive, negative, incontri. Ognuna di queste cose sono come messaggeri da parte di Dio, e in ultima istanza come se fosse Gesù stesso nascosto in ognuno di questi eventi. La domanda è: cosa ne vogliamo fare di queste visite? Vogliamo sbarazzarci di Cristo o accoglierlo per ciò che davvero è?
Quando vivi solo sulla difensiva alla fine fai fuori anche Gesù dalla tua vita, ma questo diventa solo l’inizio di una tragedia non la soluzione alla tua paura. Quando invece lo accogli allora ti accorgi che persino ciò che poteva sembrare un errore o uno scarto, Dio lo usa come una pietra d’angolo.
AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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