Il primo luogo in cui facciamo esperienza di Cristo è la nostra debolezza, la nostra malattia, la nostra mancanza:
“dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano”.
Credo che il motivo sia evidente: quando siamo deboli, feriti, mancanti, ci accorgiamo di non bastare a noi stessi, ci accorgiamo della menzogna dell’autosufficienza.
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Il male insiste nel volerci convincere interiormente che saremo davvero liberi quando non avremo bisogno di nessuno, ma una persona è davvero libera quando accetta di avere sempre bisogno degli altri per poter essere se stessa, per poter amare, per poter affrontare la vita.
Finché l’uomo non fa pace con la sua creaturalità allora giocherà sempre a fare Dio. E facendo questo gioco sperimenterà presto che ci si può far male. È questo forse il motivo per cui quando stiamo bene, quando abbiamo la salute, quando le cose girano per il verso giusto ci prende subito la tentazione di poter mollare le relazioni, la preghiera, gli altri.
Essere umili significa capire che ogni nave ha bisogno della sua àncora, del suo timone, della sua vela, altrimenti non è più una nave che va da qualche parte, ma solo una nave alla deriva.
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In questo senso dobbiamo imparare a guardare con occhi nuovi anche i nostri periodi di crisi, perché ci ricordano davvero dell’essenziale di cui abbiamo bisogno.
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Autore: don Luigi Maria Epicoco
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