Questa scena del Vangelo di oggi si compie con un incipit apparentemente contraddittorio: “Mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguivano urlando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi»”. Come possono due ciechi seguirlo? Eppure questo dettaglio è di grande consolazione per ognuno di noi, infatti siamo tutti dei ciechi che tentano di andare dietro a Gesù.
C’è in noi come un sesto senso nascosto nel cuore che ci fa sentire Gesù come nostalgia, come desiderio, come domanda che ci muove al cammino, alla sequela. E il primo miracolo è accorgerci di essere ciechi. È la cecità di chi cerca un’illuminazione, cioè una luce nuova attraverso cui vedere se stesso, la propria storia e gli altri.
Gesù ci dona questa luce nuova, ma non attraverso illuminazioni strane, bensì cambiando i nostri occhi. Il cristianesimo non è ricevere cose nuove, ma vedere in maniera nuova le stesse cose perché ciò che è cambiato, che è guarito è il nostro sguardo. Chi ha questo tipo di guarigione vede esattamente come vede Cristo, diversamente è ostaggio del buio delle proprie paure, delle proprie ferite, dei giudizi che gli suscita l’Accusatore nel cuore.
Questi due discepoli hanno già ricevuto il miracolo di accorgersi della propria cecità e proprio per questo “gridano” a Gesù di donargli la vista. Il grido è la forma di preghiera che più rende l’idea di che cosa debba essere la preghiera: non un ragionamento convincente, ma l’espressione di ciò che come desiderio più vero urla al fondo di noi stessi.
“Entrato in casa, i ciechi gli si accostarono, e Gesù disse loro: «Credete voi che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!». Allora toccò loro gli occhi e disse: «Sia fatto a voi secondo la vostra fede».
E si aprirono loro gli occhi”. Il Signore può esaudirci nella misura in cui crediamo che Egli davvero possa. A volte è la nostra incredulità ad essere d’impedimento perché siamo più disposti a credere alla nostra incapacità che alla potenza di Dio. Ma quando professiamo la nostra fede, riceviamo il miracolo di occhi nuovi.
AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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