C’è un gesto bellissimo descritto nel Vangelo di oggi, è il gesto di chi prende in braccio la gente sofferente e la depone ai piedi di Gesù: “Attorno a lui si radunò molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì”.
Delle volte l’unica cosa che possiamo fare è portare a Gesù tutta la sofferenza che incontriamo. Portarla a Lui affinché se ne prenda cura. E il primo miracolo di guarigione è proprio questo sentirsi presi in carico dal? amore di qualcuno. Mi vengono alla mente i numerosi treni bianchi dell’UNITALSI che trasportano i malati a Lourdes.
Gli innumerevoli volontari che si caricano sulle spalle i malati per farli arrivare in qualche sperduto posto del mondo, lì dove la tradizione indica fazzoletti di terra benedetti dalla presenza di Dio e soprattutto di Sua Madre. È il miracolo della solidarietà silenziosa che è già la prima maniera che Dio ha di entrare nel dolore del mondo.
Non dovremmo mai trascurare questo dettaglio, perché mentre cerchiamo Gesù per un miracolo non dobbiamo dimenticare che siamo chiamati ad essere innanzitutto noi l’inizio di quel miracolo, prendendoci cura di queste persone, accompagnandole, guidandole verso di Lui.
Ma poi il vangelo prosegue dicendo che la seconda cosa che non lascia indifferente Gesù è la fame della gente: <<Sento compassione di questa folla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada». Non è solo la fame di pane, ma è la fame insaziabile di felicità che c’è al fondo del cuore di ogni uomo. Gesù vuole fare qualcosa per questa fame, e lo fa a partire da ciò che c’è: “<<Quanti pani avete?>>.
Risposero: <<Sette, e pochi pesciolini>>. Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, Gesù prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò, li dava ai discepoli, e i discepoli li distribuivano alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati”. Il miracolo parte sempre dal nostro possibile, poi Gesù ci aggiunge il resto.
Commento di don Luigi Maria Epicoco.