don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo del 30 Marzo 2022

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“Gesù disse ai Giudei: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco». Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio”.

È bello come il Vangelo di Giovanni, registrando il crescente clima di tensione e violenza attorno a Gesù, dica a chiare lettere qual è il motivo per cui ce l’hanno a morte con Lui: non sopportavano il Suo considerare Dio Suo Padre. La gelosia è gelosia di rapporto. Da Caino in poi l’umanità soffre la grande gelosia dell’invidiare l’amore altrui. Ma Gesù non è venuto al mondo per contrapporre il Suo amore con il Padre a quello nostro, ma per dirci che tutti siamo chiamati ad entrare nella logica del medesimo amore. Vuole cioè dirci che non abbiamo bisogno di invidiare qualcosa a cui siamo noi stessi chiamati a vivere e a ricevere come dono.

In Gesù ognuno di noi diventa figlio. L’espressione giusta è figli nel Figlio. Ma quello che a noi pare di una chiarezza cristallina è invece completamente ignorato e incomprensibile ai suoi contemporanei. Ma c’è una cosa che ci avvicina a loro: non accettare fino in fondo che l’annuncio cristiano non è l’annuncio sulla semplice esistenza di Dio, ma è l’annuncio del fatto che questo Dio, che esiste, è nostro Padre.

“Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno”.

Tutti vogliono uccidere Gesù, mentre Gesù vuole dare la vita a tutti, è questo il paradosso cristiano.

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Se volessimo riassumere tutto il rancore accumulato dai Giudei nei confronti di Gesù lo ritroviamo ben espresso in questa annotazione del Vangelo di oggi: “Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio”.

Gesù è insopportabile perché considera Dio suo padre, infrangendo tutta quella distanza a cui erano abituati i suoi contemporanei. In realtà questa distanza è la cosa che accomuna da sempre ogni esperienza religiosa lungo la storia: Dio è Dio proprio perché c’è una radicale distanza tra noi e Lui. Gesù comprime questa distanza e ci insegna attraverso la sua testimonianza che Dio è tale in virtù dell’amore che ha per noi e non semplicemente per la sua radicale alterità.

Dovremmo domandarci se noi coltiviamo più la distanza da Lui che la prossimità. Il Dio distante molto spesso corrisponde a quell’aspettativa psicologica che è la rassicurazione. Il Dio di Gesù Cristo è invece quel Dio reale che prende sul serio ogni uomo e ogni donna nella loro totalità.

Quando Gesù dice che Dio è suo Padre si sta riferendo non in maniera simbolica a una parte di sé, ma alla sua intera persona. Per questo la resurrezione è qualcosa che riguarda anche il nostro corpo e non è solo una dimensione dell’anima.