don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo del 30 Dicembre 2021

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AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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FONTE: Amen – La Parola che salva – ABBONATI A 12 MESI (12 NUMERI) A 34,90€


Alla storia di Simeone, il Vangelo di oggi aggiunge la storia di Anna. Se Simeone è l’icona dell’attesa, Anna è l’icona della fedeltà.

“C’era anche una profetessa, Anna figlia di Fanuele (…). Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere”.

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La sua è la fedeltà al reale così come la vita glielo pone davanti. Non c’è vittimismo, depressione, chiusura, rabbia in questa donna. Ha trasformato la tragedia di perdere un marito in giovane età in servizio. La sua preghiera non è un ripiego o un riempimento di un vuoto, è la scelta consapevole di essere comunque feconda e amante nonostante tutto. Anche lei, che forse non aveva figli, si affaccenda come una mamma e una moglie straordinaria, “notte e giorno” ci dice il Vangelo.

Ma ha sostituito alla santità delle cose di una famiglia, “i digiuni e le preghiere”. Anna è l’anti-bigotta. Non è l’immagine di quelle fastidiosissime donne che sbiascicano rosari e pettegolezzi e che sono tutte preghiere e fatti degli altri. No, lei è una capace di digiunare. E il digiuno è un fatto anche di lingua. Anzi è il digiuno che pesa di più. A questa donna Gesù fa il dono di essere visto in fasce:

“Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio”.

Anna ci mostra così che il Natale è anche il compimento di vite che sembravano a metà. Di vite che potevano suscitare il dubbio del fato avverso. Tutti noi delle volte guardando la nostra vita possiamo pensare che ci siano troppi buchi, e troppe storture per dire di avere avuto vite giuste, o vite piene.

Ma la pienezza della vita non dipende da ciò che ci accade ma da ciò che incontriamo in quello che ci accade. Anna, nelle sue vicende personali di vedovanza e di sterilità ha avuto però la gioia di incontrare Cristo.

È questo incontro che dà significato alla sua vita, non i semplici eventi così come le sono accaduti. 


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L’evangelista Luca ci racconta di vecchi che profetizzano, lodano, ringraziano. Oggi è il turno di una donna: “Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni.

Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”. La struggente bellezza di simili personaggi non deve farci dimenticare che si può però anche invecchiare male.

Non sempre la vecchiaia porta con sé parole sagge, ma delle volte può portare parole rassegnate, rancori strutturati, incapacità di godere del bene dei più giovani. Le parole dei vecchi possono incoraggiare o distruggere. Possono indicare la strada o sbarrarla. Possono benedire (dire il bene) o maledire (dire il male). Nessuno può fare a meno degli anziani, ma chi ha varcato la soglia della terza età deve poter sentire la responsabilità di edificare, incoraggiare, benedire, sorreggere, indicare e mai il contrario.

E questo in tutti gli ambienti e non solo nella famiglia. Gesù inizia la sua vita con due anziani “buoni” sulla sua strada. L’esempio di questi nonni possa fare da specchio a ciascuno di noi, ecco allora che anche i giovani, come Gesù, potranno così crescere e fortificarsi, pieni di sapienza, con la Grazia di Dio sulla loro testa.