Sono estremamente convinto che la prima maniera che ha lo spirito di operare nella vita di una persona è allargargli i desideri. L’affermazione del commensale all’inizio del brano del vangelo di Luca di oggi è un chiaro indizio che si sta smuovendo qualcosa in lui: “Uno dei commensali, avendo udito ciò, gli disse: «Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!»”.
Ma Gesù interviene subito per non lasciare che questo desiderio rimanga solo un pio proposito, ma diventi davvero il principio di una rivoluzione. E per fare ciò racconta una parabola mettendo in scena un banchetto a cui alcuni sono invitati. È un chiaro riferimento all’opera di Dio che ha pensato la vita come un invito e il regno di Dio come una festa. Ma quelli che ufficialmente sembrano avere le carte a posto per entrare e sedere a mangiare, rifiutano con dei “validi” motivi che potremmo sintetizzare in questo modo: il possesso, il commercio e il piacere.
Se ci pensiamo bene queste tre grandi scuse sono ciò che solitamente tengono la nostra vita in ostaggio. Avere fede, infatti, significa smettere di trovare rassicurazione nel possesso delle cose, ma in realtà quasi mai siamo disposti a liberarci da questa latente idolatria. A noi piace usare le cose per sentirci sicuri e non per incontrare ciò che conta davvero, così alla fine sono le cose stesse a possederci e non il contrario. Allo stesso tempo preferiamo sempre una logica di vita commerciale a una forma di vita gratuita.
Commerciare significa fare le cose sempre con un tornaconto, quando invece Dio ci chiede di imparare la gratuita delle cose. La ricerca del piacere è l’ultimo impedimento che potremo definire come il possesso delle persone. È sempre d’impedimento all’incontro con Dio chi usa le persone per star bene lui, riducendo l’altro a oggetto e non incontrandolo mai veramente. Allora gli unici che mangeranno di quella cena saranno quelli che per un motivo o per un altro sono affamati, e hanno smesso di sentirsi sazi di cose che non contano nulla.
AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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