«Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?».
Perché Gesù dovrebbe farci domande se già conosce le risposte? Mi sono sempre chiesto questo. Forse perchè le domande servono a noi non a lui. È Pietro che nel Vangelo di oggi ha bisogno di domandarsi se veramente vuole bene a Gesù. Gesù lo sa già, anzi sa pure che la sfiducia che egli ha in se stesso guarirà con il tempo. Non sa usare più la parola amore ma solo la parola bene.
Ma verrà il giorno in cui Pietro diventerà capace di morire per amore. Ecco allora il motivo per cui nella nostra vita spirituale dovrebbero fare ingresso in maniera seria le grandi domande della vita. Sono esse che ci fanno stare davanti a Gesù faccia a faccia. Sono esse che ci riconciliano con i nostri tradimenti e le nostre sviste. Sono esse che ridanno direzione alle nostre decisioni. Dio risponde facendo domande. Ci guida nella risposta, anzi Egli stesso è la risposta.
Ma capire che la risposta è qualcuno e non qualcosa è una rivoluzione che dobbiamo imparare con il tempo. È la stessa conversione di Pietro che non si deve accontentare di voler bene ma deve avere fiducia che prima o poi imparerà anche lui ad amare. In questo senso la conversione è una buona notizia e non un compito insormontabile, perché è la buona notizia di poter sempre ricominciare ogni volta, sapendo che siamo figli di un Dio che non si lega al dito le cose.
Siamo figli di un Dio che ci conosce al di là di quello che facciamo o di quello che siamo diventati. Ma la santità di Pietro non sta nella capacità di amare bene, ma nella sincerità di ammettere di non saperlo fare. Lo ha capito sbagliando, ma da quel momento in poi ne ha guadagnato la sua autenticità. In questo senso l’esperienza del peccato non può solo essere ridotta all’esperienza di fare qualcosa di sbagliato. A volte è una lezione che dovremmo imparare.
È la lezione di fare i conti con i propri limiti e di cominciare ad avere di se stessi non più una visione idealizzata ma realistica, lasciando però a Gesù l’ultima parola.