Per uno che legge la Parola di Dio può sembrare un po’ strano tenere insieme in un’unica festa due santi della portata di Pietro e Paolo, e questo non solo per la loro importanza quanto per la radicale diversità caratteriale che li caratterizzava. Ma forse il vero messaggio è proprio mostrare come un’autentica Chiesa è tale solo quando sa tenere insieme cose diverse e non quando uno assoggetta l’altro.
Il Vangelo che oggi leggiamo ci dice qual è il passaggio che segna il cambiamento vero nella nostra vita. Gesù sta interrogando i discepoli su ciò che pensa la gente su di Lui. Non è un sondaggio, è una strategia. Vuole portare i suoi discepoli a un rapporto personale con Lui senza passare attraverso i “sentito dire” degli altri. Perché anche senza accorgercene tutti rischiamo di essere più discepoli di quello che dice la gente che di quello che vogliamo davvero noi.
Qui il problema non è solo dire chi è Cristo, ma è dire chi è Cristo per me. E per rispondere a questa domanda ciascuno deve guardare il proprio cuore e non i vicini di casa. Troppe scelte nella vita le facciamo lasciandoci condizionare dal chiacchiericcio degli altri, quando invece dobbiamo imparare a farle ascoltando noi stessi. È lì che Dio parla:
“né la carne, né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”.
La cosa straordinaria però dei santi sta nel fatto che se la domanda è la medesima, la risposta invece è personale. Cioè ognuno risponde a questa domanda di Cristo mettendo in gioco se stesso, trovando in se stesso l’alfabeto per dire la medesima cosa di Pietro.
È così che si spiega il fatto che nella Chiesa e nella storia non c’è un unico modo di essere santi. È per questo che le modalità diverse di rispondere creano ricchezza e non monotonia. Ecco perché festeggiamo Pietro e Paolo insieme, perché la loro diversità dice però la medesima risposta. Tanti alfabeti per dire:
“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.
Guai se nella Chiesa fossimo uniformi, perché l’uniformità è il contrario della comunione.