AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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FONTE: Amen – La Parola che salva – ABBONATI A 12 MESI (12 NUMERI) A 34,90€
Il Vangelo di oggi fa entrare in scena la mitezza e l’ostinata attesa di un anziano:
“Ora a Gerusalemme, c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore”.
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È lui la vera icona dell’attesa. Un’intera esistenza passata ad attendere quel momento, quel dono straordinario di poter avere tra le braccia questo bambino. Gesù rappresenta il Senso della vita. E tutta la nostra esistenza è una continua ricerca di questo senso, di questo mistero che trasfigura tutte le cose, di questo nocciolo duro e affidabile che rende ogni giorno degno.
Simeone è un monito per ciascuno di noi, egli ci ricorda che dobbiamo credere di più a ciò che il Signore ci mette nel cuore che all’evidenza delle cose che sembrano invece dirci che il tempo passa e noi abbiamo atteso invano. Dio non ci tradirebbe mai mettendoci nel cuore qualcosa per poi negarcela nella realtà. Attendere è un altro modo di dire che dobbiamo fidarci.
E chi si fida forse un giorno potrà fare l’esperienza di quest’uomo che posseduto davvero da un’incontenibile gioia profetizza parole straordinarie:
“Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù (…) lo prese tra le braccia e benedisse Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza (…)”.
Dio ci conceda di poter un giorno vedere con i nostri occhi la speranza che ci portiamo nel cuore. Ma fino a quel giorno dobbiamo sempre domandarci se vogliamo vivere rassegnati o vivere come quest’uomo. Simeone è il contrario della rassegnazione. Di lui potremmo invece dire che c’è l’eterna giovinezza, perché giovane è chi ancora si aspetta qualcosa dalla vita.
La giovinezza non è mai un fatto anagrafico ma una questione di attese vive o rassegnazioni tenute a bada.
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Ci sono due cose che accompagnano Gesù fin dall’inizio della sua vita: l’umiltà e la povertà. Ce lo ricorda il Vangelo di oggi raccontandoci l’episodio della sua presentazione al Tempio. Gesù non cerca eccezioni, trattamenti speciali. Fin dall’inizio della sua vita si sottomette alla Legge e lo farà sempre, persino trent’anni dopo il giorno del suo battesimo: si metterà in fila con tutti gli altri per essere battezzato da Giovanni.
È una caratteristica importante dell’umiltà quella di non ricercare “effetti speciali” ma accettare la normalità come la via più giusta perché si compia la nostra vita. Gesù ha santificato e si è santificato nella normalità. Ma c’è anche un altro dettaglio che emerge dal racconto del Vangelo di oggi: l’offerta del sacrificio così come prescriveva la Legge. Una persona agiata economicamente doveva offrire un agnello, mentre i poveri erano dispensati da tale offerta potendo sostituire l’obolo con una coppia di tortore.
Giuseppe e Maria sono poveri, ce lo dice indirettamente il Vangelo. La povertà è stata la seconda caratteristica che ha accompagnato tutta la vita di Gesù. Ma anche essa lungi da diventare pauperismo, ostentazione di povertà. Essa è piuttosto uno stile di libertà, di sobrietà, di semplicità, di capacità di non perdere di vista l’essenziale. Il Natale è quel tempo in cui deve fissarsi nella nostra memoria questo doppio alfabeto di Gesù.
Solo la via dell’umiltà e della povertà riescono a fare da argine giusto al passaggio della Grazia di Dio. L’orgoglio e l’attaccamento alle cose impediscono a Dio di agire in noi.