don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo del 28 Novembre 2022

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So che dovrebbe colpirmi il miracolo operato da Gesù nel Vangelo di oggi, ma anche io, come Lui, mi sento più colpito dalla personalità del centurione che dalla guarigione del suo servo. Infatti non si può non provare ammirazione nei confronti di un uomo che ha a cuore la sofferenza di chi gli è accanto:

“Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente”

dice questo soldato a Gesù. Sentire nel nostro cuore la sofferenza o la gioia di chi ci è accanto è ciò che normalmente si chiama empatia. Per provare empatia bisogna far funzionare il cuore.

E per far funzionare il cuore bisogna accettare di essere vulnerabili. Molto spesso per non soffrire, e quindi per non essere vulnerabili, ci induriamo fino al punto da diventare cinici, indifferenti alla vita altrui. Ma ciò che rende possibile il miracolo raccontato nel Vangelo è proprio l’umanità vulnerabile di quest’uomo.

“All’udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: ‘In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande’”.

Per avere una fede grande non bisogna avere una “grande religiosità”, ma una “grande umanità”.

Fonte: nellaparola.it

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La storia del centurione romano che chiede a Gesù la guarigione del suo servo ha due caratteristiche che a mio avviso non possiamo trascurare. La prima riguarda proprio l’empatia che questo militare ha verso un suo servo. Non è qualcosa di scontato. Quest’uomo non rimane indifferente davanti alla sofferenza di questa persona anche se culturalmente era considerata non un suo pari: «Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente». Il centurione non domanda per sé ma intercede per un altro dando voce a una persona che soffre talmente tanto da non riuscire essa stessa a formulare una preghiera. […] Continua a leggere qui.