Credo che quando una persona si trova alla fine della propria vita e se ne accorge, allora il tenore delle sue parole comincia ad avere una profondità inaspettata. Chi gli è accanto sente quanto possano essere vere quelle parole ma non le comprende fino in fondo. Ci vuole sempre molto tempo a capire cosa volevano dire queste persone in quel momento.
Così è per Gesù nel Vangelo di oggi. Sono parole infuocate, cariche di un senso nascosto che intuisci essere vere ma che non comprendi subito dove ti vogliono condurre:
“Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati”.
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Sembra l’accorato appello di uno che dice: smetti di vivere solo, altrimenti alla fine affoghi. E forse questo è vero. C’è una cosa peggiore dei peccati, è la solitudine che crea la nostra superbia. È la solitudine di chi dice “non ho bisogno di nessuno, io mi faccio da me”. Un credente, ma ancor prima un uomo, è uno che ha l’umiltà di capire che non ci si salva da soli, e non si riesce a salvare quasi niente della nostra vita se qualcuno non irrompe in quella nostra solitudine e ci aiuta.
L’apertura a Dio è innanzitutto uno squarcio inferto alla nostra autosufficienza, è una finestra spalancata in una stanza dove l’aria ormai è irrespirabile. Tutto il Vangelo è la buona notizia che in verità non siamo soli, e che una libertà vissuta nella solitudine non è libertà ma inferno, perché la gioia, come il dolore, la bellezza, come le cose difficili sono davvero vivibili solo a patto che tu abbia qualcuno con cui condividere ciò che ti accade.
Siamo strutturalmente dipendenti dall’altro, ma di una dipendenza che dovrebbe produrre libertà non galera. Ma noi per paura di rimanere prigionieri di relazioni sbagliate ci condanniamo all’inferno da soli. All’inferno non c’è nessuna buona compagnia perché l’unica compagnia sarà il disprezzo che proveremo per noi stessi.
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«Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite». Può risultare difficile per gli ascoltatori di Gesù comprendere fino in fondo la portata di queste parole. In pratica Gesù sta dicendo loro che nel momento in cui sembrerà più sconfitto e perdente Egli eserciterà di più il suo potere, perché il suo potere è sapere di essere nelle mani di Suo Padre. Chissà se anche noi sentiamo questa stessa forza, cioè se sentiamo di essere nelle mani di Qualcuno che ci ama. […] Finisci di leggere qui.
Commento al brano del Vangelo di: Gv 8,21-30
AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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