Della resurrezione di Lazzaro la cosa che colpisce di più è il suo silenzio. Non prega, non chiede, non supplica, non ringrazia.
Eppure Gesù lo tira fuori da quel sepolcro, demolendo in un attimo tutta la logica matematica che a volte ci guida nella fede. La resurrezione di Lazzaro è un atto di pura gratuità di Gesù. Dio non ama solo chi se lo merita, chi lo prega, chi è grato.
Dio ama tutti, anche quelli che non fanno niente di tutto ciò, perché chi è nella condizione di Lazzaro sembra impossibilitato, incapace a fare qualunque cosa. Un morto non prende iniziativa.
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Sembra che il Vangelo di oggi ci dica che, se anche non avessimo nemmeno più parole per pregare, e ci sentissimo imprigionati come in un sepolcro, in una condizione di mortificazione, e legati con bende strette da circostanze che abbiamo subito o scelto, Lui potrebbe ancora fare qualcosa per noi. “Lazzaro, vieni fuori!”.
Credere è obbedire a quel comando e disobbedire alla morte che ci imprigiona, qualunque essa sia.
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C’è una cosa che colpisce nell’episodio della resurrezione di Lazzaro, e mi dispiace dirlo ma non è la sua resurrezione quanto invece la capacità di Gesù di saper piangere per il suo amico: “Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse: «Togliete la pietra!»”. La compassione è ciò che rende Gesù davvero il Figlio di Dio. È solo a partire da questa compassione che Egli può essere riconosciuto come tale. Il fatto di avere anche il potere di resuscitare è solo la pienezza di questa cosa meravigliosa che è la sua compassione. […] Finisci di leggere qui.
Commento al brano del Vangelo di: Lc 1,26-38
AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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