don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo del 26 Marzo 2022

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AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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“Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”.

L’introduzione che il Vangelo mette alla parabola raccontata da Gesù ci aiuta a smascherare una pericolosa deriva della vita di fede: il sentirsi migliori degli altri. La storia che Gesù racconta è semplice: due uomini, uno con le carte a posto in quanto a seguire le regole, e l’altro con la fedina penale macchiata, salgono insieme al tempio a pregare.

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Il primo si pone nei confronti di Dio come qualcuno che vanta diritti. Si sente forte perché ha la fedina penale pulita, e per questo fa l’elenco dei suoi meriti. In mezzo però a questi lodevoli sforzi ci inserisce un segno significativo di differenza che svela una malattia interiore forse a lui invisibile: “ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano”. Sentirsi migliori è il chiaro segno che ci racconta il fallimento della nostra vita spirituale.

Chi ha un’autentica vita spirituale non si sente mai superiore agli altri, ma sente crescere dentro di lui una grande compassione che lo fa sentire in comunione profonda con tutto e tutti, anche con ciò che è lontanissimo da lui. Ecco perché il pubblicano che chiede solo perdono senza mettersi a paragone con nessuno torna a casa giustificato.

“Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”.

L’esperienza di fede infatti ci da dà una parte un grande realismo su chi siamo noi, sulla nostra miseria, sui nostri limiti, sulle nostre fragilità, ma allo stesso tempo ci fa sentire profondamente amati così come siamo e proprio per questo innesca in noi una possibilità di cambiamento. Sentirsi migliori degli altri blocca la vita spirituale. Sentirsi solo un nulla blocca la nostra vita spirituale. Sentirsi amati nel nostro reale nulla significa trovarsi davvero nel cuore della vita spirituale.

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Ci sono due modi di credere: il primo modo è quello di chi confonde la fede per una gara con se stessi o con gli altri, sempre alla ricerca di dimostrare di essere migliori, diversi, puri, giusti. Dietro lo zelo di certo modo di credere si nasconde una immensa superbia spirituale. Il secondo modo di credere invece è accorgersi con realismo della propria miseria e consegnarla fiduciosamente a Chi è capace di amarci proprio nella nostra miseria.

La parabola raccontata da Gesù nel Vangelo di oggi mette in scena proprio queste due modalità: “Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore”.

Gesù loda l’umiltà di quest’ultimo uomo e ci ricorda che solo a patto di conservare l’umiltà potremmo anche fare una esperienza di salvezza. Diversamente anche la fede è solo una delle tante cose del mondo che mettiamo in scena per mettere al centro il nostro io, e non sicuramente per accorgerci di Dio e del prossimo. Infatti lì dove domina l’io non c’è mai spazio per il volto dell’altro, ne per Colui che per essere riconosciuto ha bisogno che distogliamo finalmente lo sguardo dal nostro ombelico.