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don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo del 26 Dicembre 2024

Commento al brano del Vangelo di: Mt 10,17-22

La terribile morte di Stefano sembra rovinare tutta l’atmosfera del Natale. Come si può credere alla luce quando le tenebre vincono in questo modo? Come può convivere il martirio di Stefano con la buona novella del Vangelo di un Dio che si fa uomo e viene ad abitare in mezzo a noi? È proprio su questa domanda scandalosa che la pagina del Vangelo di oggi ci aiuta a gettare un po’ di luce:

“Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani”.

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Gesù non tiene all’oscuro i suoi discepoli. Egli sembra voler dire loro: “Non pensate che andrà sempre tutto bene, anzi, proprio quando vi sarete decisi a vivere in un certo modo sperimenterete che tutto vi andrà contro. Ma non perdete fiducia perché vi aiuterò io ad attraversare qualunque tempesta”.

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Finché continueremo a pensare a Gesù come un porta fortuna che tiene lontano le sfighe della vita, allora non avremmo ancora capito nulla del cristianesimo. Gesù non è un modo per non avere problemi, ma un modo per non soccombere ad essi.

Il male ha come scopo quello di usare i problemi per scoraggiarci, farci perdere la speranza, la fiducia e, soprattutto, mettere in crisi la convinzione che Dio è nostro Padre. Invece Dio usa le avversità affinché usiamo la nostra libertà fino in fondo, specie quando tutto sembra perduto.

Infatti solo chi si affida come Stefano può permettersi anche di morire, perché le persone così non muoiono mai veramente.

Fonte

ALTRO COMMENTO

La storia del primo martire Stefano sembra stonare con il clima di gioia del Natale. Invece a pensarci bene la sua storia è assolutamente in linea con il Natale, perché la preziosità di qualcosa la si misura da quanto uno è disposto a perdere per quel qualcosa.

E sapere che Stefano è stato disposto a morire per amore di Cristo ricorda a ciascuno di noi che ieri non è nato un bambino qualunque, né semplicemente un bambino prodigio, ma un bambino per cui un giorno schiere di persone preferiranno dare la loro vita pur di non rinnegarlo, pur di non venir meno a quella buona novella dell’amore che è venuto ad annunciare.

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Non è fanatismo, è esigenza estrema dell’amore. È la stessa logica di una madre: non baratterebbe mai il figlio per salvarsi la vita. Il sacrificio di quella madre non è fanatismo è esigenza dell’amore. I martiri sono innanzitutto persone innamorate profondamente della vita, ma messi davanti alla scelta di dover scegliere per quale motivo vivere preferiscono non rinnegare quel motivo fino a morirne, perché non avrebbe più senso vivere rinnegando il motivo per cui la vita è degna di questo nome. Si tratta sempre di scegliere tra ciò che vale da ciò che non vale.

È il criterio ultimo per cui dovremmo vivere ogni giorno: dovremmo sempre domandarci se le cose che viviamo valgono o non valgono la nostra vita. Dovremmo sempre domandarci se stiamo scegliendo o ci stiamo soltanto lasciare trasportare dagli eventi.

La cosa certa però è che per quanto drammatica possa essere la storia del martirio, il vangelo ci rassicura almeno su una cosa: “quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi”.

I più grandi martiri sono morti con queste parole sovversive: “ti perdono”. Sono le stesse parole che Gesù pronuncia sulla croce per i suoi carnefici. Sono le medesime parole che Stefano pronuncia nei confronti dei suoi aguzzini.

Fonte.


Autore: don Luigi Maria Epicoco
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