Siamo ancora tutti satolli di luce e festeggiamenti, e la liturgia odierna ci fa ricordare un morto ammazzato: Santo Stefano primo martire.
Non è un modo per rovifiare la festa, ma per ricordarci quanto è seria la nascita di Gesù che non è una decorazione da deporre in uno scatolone a fine festa, ma è un motivo abbaStanza serio da spingere le persone a donare la lofo vita pur di non rinnegare il messaggio di amore e di pace che è venuto a portare.
“Sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani”. Il cristianesimo in duemila anni di storia non ha mai attraversato un periodo che non fosse segnato da’ percentuali più o meno grandi di persecuzione. In un modo o nell’altro i discepoli di questo bambino nato povero ma Figlio di Dio hanno sempre dovuto fare i conti con gli Erode di turno.
I martiri sono innanzitutto persone innamorate profondamente della vita, ma messi davanti alla scelta di dover scegliere per quale motivo vivere preferiscono non rinnegare quel motivo fino a morirne, perché non avrebbe più senso vivere rinnegando il motivo per cui la vita è degna di questo nome. Si tratta sempre di scegliere tra ciò che vale e ciò che non vale.
È il criterio ultimo per cui dovremmo vivere ogni giorno: dovremmo sempre domandarci se le cose che viviamo valgono o non valgono la nostra vita. Dovremmo sempre domandarci se stiamo scegliendo o ci stiamo soltanto lasciando trasportare dagli eventi. La cosa certa però è che per quanto drammatica possa essere la storia del martirio, il vangelo ci rassicura almeno su una cosa: “quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi”.
I più grandi martiri sono morti con queste parole sovversive: “ti perdono”. Sono le stesse parole che Gesù pronuncia sulla croce per i suoi carnefici. Sono le medesime parole che Stefano pronuncia nei confronti dei suoi aguzzini.