È ancora Elisabetta la protagonista indiscussa del vangelo di oggi. Più volte, a poche ore dal Natale, incontriamo questa donna straordinaria che ha parole di benedizione per Maria e che non le manda a dire a quelli che approfittando del mutismo momentaneo del marito vogliono imporre sul suo bambino appena nato un nome da tradizione.
Ella contravvenendo le consuetudini e le tradizioni si impone con forza per chiamare il bambino Giovanni: “Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: “No, si chiamerà Giovanni”. Le dissero: “Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome’). Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: “Giovanni è il suo nome”.
Tutti furono meravigliati”. E non si capisce se erano meravigliati per la scelta del nome o per la totale comunione che Elisabetta e Zaccaria avevano tra di loro. A me piace pensare la seconda perché è difficile trovare sintonia tra due persone che stanno insieme in un mondo che tende solo a contrapporci, proprio come fanno i vicini di casa del vangelo di oggi. Credo che questa sintonia sia la vera causa di guarigione di Zaccaria: “All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose”. Ma l’altro elemento significativo di questo brano sta nel fatto che il nome Giovanni è un nome fuori dalla tradizione familiare di Zaccaria ed Elisabetta. C’è come la decisione di sottolineare la “diversità” del battista. Elisabetta e Zaccaria mostrano l’amore perché difendono l’unicità, l’originalità, la diversità del figlio.
Amare non è uniformare a se stessi ma preservare ciò che di unico, di irripetibile, di diverso esiste nell’altro. È amare ciò che dell’altro non corrisponde. È permettere all’altro di essere se stesso fino in fondo.
Nascita di Giovanni Battista.