AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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“Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli (…)? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo»”.
Non è un discorso bello da fare, ma tutte quelle volte che accendendo la tv o leggendo sulle rassegne stampa leggiamo di notizie terribili, di tragedie, incidenti, scontri, guerre, delitti e tutto ciò che può stonare con la vita, dovremmo approfittare per farci un estremo esame di coscienza e domandarci: io chi voglio essere? Come voglio continuare a vivere?
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È proprio vero, nessuno di noi può dire di essere migliore. Nessuno di noi può sentirsi al sicuro. Ma la soluzione non è gestire la paura o vivere costantemente sulla difensiva, ma vivere sempre così bene la nostra vita da farci trovare costantemente intenti a vivere più che a sopravvivere. Mi vengono in mente le parole del grande papa Paolo VI: “Vorrei che la morte venisse a prendermi ma senza sorprendermi”.
L’unica maniera di prepararsi bene alla morte è vivere, e non semplicemente vivacchiare. Morire è sempre una tragedia (siamo fatti per la vita), ma la vera tragedia è morire senza aver vissuto bene quello che ci è stato dato di vivere. Per questo Gesù racconta la parabola del fico. Se quest’albero piantato in mezzo ad una vigna non porta mai frutto, a che cosa serve? E se nonostante le migliori attenzioni e cure continua a non portare frutto, a che cosa serve? “Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma è qui che interviene la Misericordia di Cristo: “Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai”.
Ogni giorno che ci svegliamo dovremmo pensare che è la prova di questa pazienza che Dio ci usa, nella speranza di smettere di vivere solo “sfruttando” la vita, ma cominciando ad avere senso.