«Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?».
Domandano giustamente i discepoli di Giovanni il battista a Gesù. Giustamente loro sono stati educati da un uomo come Giovanni che ha vissuto tutta la sua vita allenandosi per l’incontro con il Messia, con Cristo. Ma l’allenamento non può diventare un’idolatria. Anche alcune pratiche religiose possono diventare idolatria per noi.
Ciò accade quando ricaviamo soddisfazione dal farle dimenticandocene il motivo per cui le pratichiamo. Si cade in una forma di narcisismo spirituale quando si perde di vista “lo Sposo”. Accade allora che avere una vita spirituale o una costanza della pratica religiosa ci faccia sentire migliori degli altri. Migliori al punto da domandare agli altri di essere come noi per essere i migliori.
Ma nella logica di Cristo i migliori non sono quelli che hanno prestazioni eroiche ma quelli che non perdono di vista Lui nonostante l’incostanza, l’incoerenza, le cadute. La vita spirituale non serve a sentirsi meglio o a sentirsi migliori, ma serve a non perdere di vista Cristo.
Ragionare da narcisisti (il vestito vecchio o l’otre vecchio) e mettere sopra la novità del vangelo (il pezzo di stoffa nuova o il vino nuovo) non porta una miglioria alla nostra vita ma una tragedia: “Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo squarcia il vestito e si fa uno strappo peggiore. Né si mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si rompono gli otri e il vino si versa e gli otri van perduti. Ma si mette vino nuovo in otri nuovi”.
Per accogliere la novità di Cristo non bisogna più ragionare con l’ottica religiosa di prima. Non conta la performance ma non perdere di vista Lui. E ogni azione spirituale o pratica religiosa o serve a non perdere di vista Lui oppure non serve. Le cose non vanno più fatte semplicemente perché bisogna farle, ma solo perché hanno a che fare con Lui.
Se non hanno più a che fare con Lui bisogna avere il coraggio di fermarsi, e qualche volta anche di cambiare, senza paura.