La nostra natura funziona con la logica dello specchio: ad azione reazione. Non è facile liberarsi da questo meccanismo che invece che renderci liberi ci rende solo reattivi alle scelte degli altri. Se uno si comporta bene, io mi comporto bene; se uno si comporta male, io mi comporto male. Ma la domanda che nasce spontanea è: chi sono davvero io? Posso solo essere lo specchio di chi ho di fronte? È questo il senso delle parole di Gesù nel Vangelo di oggi: “Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra”.
Porgere l’altra guancia non è segno di debolezza ma di liberazione. Solo chi ha il coraggio di non reagire ma di fare esattamente il contrario può dirsi davvero libero. Libero è non chi ha innanzitutto la forza di difendersi, ma chi nonostante abbia la forza di difendersi decide di attuare una politica totalmente diversa. Il male lo si sconfigge sbaragliandolo. Porgere l’altra guancia è un atto straordinariamente stupefacente. In un mondo che vive delle logiche di reazione, chi fa qualcosa di diverso rompe questo circuito e fa nascere una situazione completamente nuova. L’invito del vangelo è chiaro: se vuoi vincere il male non usare le sue stesse armi. Sii creativo (non cretino).
E i creativi a volte sanno incassare ma solo perché sanno aspettare il momento giusto per affondare lo scacco matto del bene. Ma tutto questo può essere possibile solo se si ricorda che l’essenziale per vivere non dipende dalle circostanze, dal mondo che ci circonda, da quanto ci gira bene la vita intorno. Per un cristiano l’essenziale è in Qualcuno. E proprio per questo nessuna circostanza avversa, ingiustizia, o male subito può mai veramente privarci di ciò che conta. Perché siamo inseparabili da ciò che conta. San Paolo ha parole bellissime per dire questo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” Niente e nessuno potrà mai separaci dall’amore di Cristo che ha dato la vita per noi. Motivo per cui possiamo agire imprevedibilmente contro ogni logica solamente umana.
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C’è una cosa che è più difficile dell’amore? È l’amore ai nemici. Gesù lo chiede esplicitamente nel Vangelo di oggi disarmando tutti quei cristiani che credono di rendere culto a Dio impugnando armi di ogni genere. A volte sono le pietre delle parole usate male, a volte solo le armi delle lobby, a volte sono le logiche di esclusione che ci sentiamo autorizzati ad attuare per amore di verità. La verità è però che Gesù ci chiede di non scendere a patti con il male ma di amare il nemico.
E amare è una faccenda seria che non può essere risolta con qualche parola sbiascicata nel chiuso delle nostre sagrestie verso un cielo di cui fondamentalmente non ci fidiamo. L’amore è sempre amore per la verità, ma è anche sempre amore per il volto di chi ho accanto pur se non la pensa come me. Io odio la parola tolleranza perché ha il sapore delle solitudini accostate che tendono a ignorarsi per quieto vivere. Non credo che il Vangelo ci inviti alla tolleranza ma anzi a una grande passione. La passione per il dialogo. La passione per l’uomo. La passione per il bene che vince i nemici. La passione più grande che è morire per chi si ama.
Il vero miracolo non è “dare la vita per i propri amici” ma scoprire gli amici seppelliti sotto la montagna di difetti e distanze di cui vediamo pieni i nostri nemici. “Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?”. Ma noi siamo chiamati ad essere come il Padre: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Ma come si fa ad essere perfetti nell’amore proprio noi che siamo radicalmente imperfetti? La nostra è una chiama in tensione, cioè siamo chiamati a tendere alla perfezione, pur sperimentando le cadute, i fallimenti, i limiti, le imperfezioni.
Finché avremo vita dobbiamo tendere la nostra umanità quando più possibile, esattamente come si tende la corda di un arco. Solo così le frecce vanno lontano. Solo così andremo anche noi lontano. Molto più lontano di chi invece di tendere ha mollato scegliendo la via più semplice.
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“𝐌𝐚 𝐢𝐨 𝐯𝐢 𝐝𝐢𝐜𝐨: 𝐚𝐦𝐚𝐭𝐞 𝐢 𝐯𝐨𝐬𝐭𝐫𝐢 𝐧𝐞𝐦𝐢𝐜𝐢 𝐞 𝐩𝐫𝐞𝐠𝐚𝐭𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐯𝐢 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐞𝐠𝐮𝐢𝐭𝐚𝐧𝐨, 𝐚𝐟𝐟𝐢𝐧𝐜𝐡𝐞́ 𝐬𝐢𝐚𝐭𝐞 𝐟𝐢𝐠𝐥𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐏𝐚𝐝𝐫𝐞 𝐯𝐨𝐬𝐭𝐫𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐞̀ 𝐧𝐞𝐢 𝐜𝐢𝐞𝐥𝐢”
La vertiginosa richiesta che Gesù fa nel Vangelo di oggi è ciò che potremmo definire “𝙡𝙖 𝙙𝙞𝙛𝙛𝙚𝙧𝙚𝙣𝙯𝙖 𝙘𝙧𝙞𝙨𝙩𝙞𝙖𝙣𝙖”. Amare fino al punto da non escludere dall’amore neppure i nemici non significa lasciarsi fare del male, ma significa non rimanere mai imprigionati nel loro male.
Infatti per sua natura il male produce male.
Per vincerlo devi fare ciò che per lui è inaspettato, cioè rispondere con l’amore.
E amare non significa per forza fare gesti eclatanti, ma andare controcorrente rispetto a ciò che istintivamente ci verrebbe da fare.
Delle volte anche solo pregare per queste persone ci salva dal restare imprigionati dal rancore nei loro confronti. Un Ave Maria per loro paradossalmente è più potente di qualunque altra reazione difensiva ci verrebbe in mente da mettere in campo. Porgere l’altra guancia quindi non è subire ma vincere, perchè il male quando non suscita male ha perduto la sua partita.
Commento al brano del Vangelo di: Mt 5, 38-48
AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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