I nomi propri, a volte impronunciabili, e i calcoli numerici dei rapporti tra di essi, sembrano un giallo da risolvere più che un vangelo da leggere. Ma in realtà così non è. Perché ogni nome e ogni volto sono una storia precisa, una vicenda precisa, che si intreccia a quella di un altro e poi di un altro ancora fino ad arrivare a Gesù.
Quello che può sembrare essere un elenco confuso, alla fine appare come un tutto ordinato con un finale preciso. Il dio in cui crediamo è un Dio che si manifesta nelle relazioni, ed esse sono la vera chiave di lettura della storia che va da Abramo fino a Giuseppe. La storia che celebriamo nel Natale, non è una fiaba, né un racconto edificante. Essa invece è la storia drammatica degli uomini, di uomini concreti, con vicende concrete.
Non dovremmo mai rubare l’umanità a Gesù. Non dobbiamo avere fretta di ricacciarlo nei cieli, o di mettergli aureole sulla sua testa. La prima vera grande cosa che il Natale ci insegna è che dobbiamo imparare a considerare Gesù nella sua concreta umanità. “Così, da Abramo fino a Davide sono in tutto quattordici generazioni; da Davide fino alla deportazione in Babilonia, quattordici generazioni; e dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo, quattordici generazioni”. Il Vangelo di oggi è un estremo tentativo di enumerare almeno quarantadue generazioni di motivi.
E in ciascuna di esse non troviamo solo storie luminose, ma molto spesso storie storte, difficili, complicate, come se a Dio piacesse particolarmente entrare nelle vicende complicate di famiglie e persone. Ma in fondo ciascuna delle nostre vite vista da vicino è una vita complicata, incidentata, non sempre luminosa, molto spesso storta. La buona notizia del Vangelo di oggi è sapere che anche le storie più difficili hanno come finale Gesù. Ogni storia ha al suo fondo un Natale, un Messia, un Senso.
In unica parola: Gesù. Ecco perché bisogna sempre avere la pazienza di arrivare in fondo alla storia per capirne anche tutto il significato, senza avere la tentazione di farlo prima.
Commento di don Luigi Maria Epicoco.