AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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FONTE: Amen – La Parola che salva – ABBONATI A 12 MESI (12 NUMERI) A 34,90€
Leggi il brano del Vangelo di † Mt 12, 1-8
“Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle. Vedendo ciò, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato»”.
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Si può vivere in ostaggio della forma a scapito della sostanza. E delle volte pur di salvare la forma di può cadere in un gioco pericoloso di retorica dove vince chi sa parlare meglio. Ma la verità non è avere ragione, ma dire qualcosa che faccia germogliare la vita. Per questo Gesù affonda il suo rimprovero con queste parole:
“Se aveste compreso che cosa significhi: “Misericordia io voglio e non sacrifici”, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato”.
Ciò che vince il formalismo non è la retorica ma la misericordia. Se le regole diventano più importanti delle persone allora quelle regole non danno più gloria a Dio. Se il sabato è più importante della sofferenza di una persona allora quel sabato non è più sacro ma abominevole. Una religione che diventa disumana non è più una religione ma un’ideologia.
C’è un primato del cuore che non bisogna mai dimenticare. E quando parlo di primato del cuore non sto parlando del primato dei sentimenti, ma del primato di quella parte di noi dove la verità la si incontra e la si propone senza deturpare il volto del fratello. Se scendessimo più nel cuore che nella sola testa o nella sola pancia, ci accorgeremmo di come in nome di Dio giustifichiamo una serie di bestialità che con Lui non hanno nulla a che fare.
Il moralismo e il sentimentalismo sono due opposti che si assomigliano. Se con il moralismo puntiamo il dito, con il sentimentalismo uccidiamo la verità che salva. Deve esserci un modo sano di dire la verità nella carità. Questa è la misericordia. Essa è la capacità di saper amare una persona nella verità della sua miseria, senza condannarla e senza assecondarla. Da entrambe le derive dobbiamo imparare a tenercene ben lontani.