“Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.
Non si può entrare nel Triduo Santo senza comprendere con quale amore siamo amati.
L’amore di Gesù non è solo amore, ma è amore sino alla fine. È amore anche quando non conviene. È amore quando tutti scappano via. È amore nonostante tutto. Ed è proprio la memoria di questo amore fino alla fine che ci fa entrare nelle ore della Passione. E per non lasciare niente fuori, Gesù parte dai piedi:
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“si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto”.
Gesù parte ad amarci dalla parte più sconveniente di noi. Egli non inizia ad amare i nostri pregi, i nostri talenti, le nostre capacità.
Egli invece parte dalle nostre zone d’ombra; ama a partire da ciò che non conviene di noi. Ed è lì che trova le nostre resistenze:
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“Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!»”.
Ma non si può capire niente di Gesù finchè non gli si permette di amarci nella nostra miseria:
“Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!»”.
Quando abbiamo capito che è l’esperienza della Sua misericordia la cosa più importante, allora vorremmo esporre tutto di noi a quell’esperienza.
“Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva”.
Ma pur sapendo chi lo tradiva, lavò i piedi anche a lui. Gesù in quest’ultima sera della Sua vita si mette in ginocchio davanti ai suoi discepoli. Si inginocchia davanti a tutti, anche davanti a Giuda.
Ama contro ogni speranza.
Commento del 18 aprile 2019
NUOVO COMMENTO DA FACEBOOK
La liturgia del crisma il mattino del giovedì santo, e il vino dell’ultima cena della messa vespertina ci riportano alla mente i due medicamenti che usa il buon Samaritano nel racconto che ne fa Gesù nel Vangelo di Luca. È l’olio della consolazione e il vino della gioia. È bello pensare che il giovedì santo sia l’esplicitazione della misericordia.
Gesù istituisce il sacerdozio perché venga prolungata nella storia la misericordia del buon Samaritano che a differenza degli altri vede, si ferma, si fa prossimo, prende in braccio, conduce alla locanda, paga di persona. Ma il vero miracolo è l’eucarestia. Essa non è solo la Sua presenza reale, è anche ciò che più di ogni altro sacramento ci fa diventare Egli stesso. Se il sacerdozio è continuare a versare l’olio e il vino sulle ferite dell’umanità, l’eucarestia invece trasforma chiunque la celebri e la mangi in Cristo stesso.
Ed è così che misteriosamente la Sua presenza reale si prolunga anche in chi prende parte di quel pane e di quel vino, di quel corpo e di quel sangue. Ma non è un gesto magico. Anche Giuda infatti si accosta a quel mistero, ma la postura del suo cuore è completamente rivolta al male, così quell’intimità pazzesca con Gesù toglie il velo della sua malizia e il buio lo acceca completamente.
È importante allora domandarci con che cuore vogliamo vivere la liturgia di questo giovedì santo. In che modo vogliamo stare alla sua tavola, e poi in quel giardino di ulivi tanto caro a Lui.
AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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