“E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei”.
È bello l’incipit del Vangelo di oggi che collega la sinagoga alla casa di Pietro. È un po’ come dire che la fatica più grossa che noi facciamo nell’esperienza di fede è ritrovare la strada di casa, della quotidianità, delle cose di ogni giorno. Troppo spesso la fede sembra rimanere vera solo nelle mura del tempio, ma non si collega con le mura domestiche.
Gesù esce dalla sinagoga ed entra nella casa di Pietro. È lì che trova un intreccio di relazioni che lo mettono nelle condizioni di poter incontrare una persona che soffre. È sempre bello quando la Chiesa, che è sempre un intreccio di relazioni, rende possibile l’incontro concreto e personale di Cristo soprattutto con i più sofferenti. Gesù usa una strategia di prossimità che nasce dall’ascolto (gli parlarono di lei), per poi farsi vicino (accostatosi), e offrendo se stesso come punto d’appoggio in quella sofferenza (la sollevò prendendola per mano).
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Il risultato è la liberazione da ciò che tormentava questa donna, e la conseguente ma mai scontata conversione. Infatti ella guarisce lasciando la posizione di vittima per assumere la postura di protagonista: “la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli”. Il servizio infatti è una forma di protagonismo, anzi la più importante forma di protagonismo del cristianesimo.
È però inevitabile che tutto questo abbia come risultato una sempre più grande fama, con la conseguente richiesta di guarire i malati. Gesù però non si lascia imprigionare solo in questo ruolo. Egli è venuto soprattutto per annunciare il Vangelo:
«Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
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Anche la Chiesa, pur offrendo tutto il proprio aiuto, è chiamata innanzitutto ad annunciare il Vangelo e non a rimanere imprigionata nel solo ruolo caritativo.