don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo del 1 Settembre 2021 – Lc 4,38-44

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AUTORE: don Luigi Maria Epicoco
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FONTE: Amen – La Parola che salva – ABBONATI A 12 MESI (12 NUMERI) A 34,90€


“Gesù, uscito dalla sinagòga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò”.

La grande lezione che ci viene dal Vangelo di oggi riguarda le nostre priorità come credenti e come Chiesa. Come si può infatti entrare in una casa e rimanere indifferenti alla sofferenza che vi è dentro? Come ci si può sedere a tavola di una famiglia e ignorare che nella stanza accanto c’è a letto una persona che soffre? Capita spesso di cadere anche noi nella tentazione di prenderci la parte migliore e vincente della società, dimenticando che la nostra priorità devono averla i sofferenti.

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A tutti piace un gruppo giovani, ma a pochi piace perdere tempo nelle case degli anziani. A tutti piacciono le famiglie felici, ma pochi si domandano cosa si potrebbe fare per tutte le ferite familiari che si consumano nel silenzio. A tutti piacciono i bambini vivaci che ti rallegrano la giornata, ma pochi sono disposti a prendersi a cuore bambini con disturbi o gravi forme di handicap. Dobbiamo imparare a “chinarci” come Gesù, ed essere Chiesa così.

La guarigione non consiste per forza o prioritariamente nel togliere un problema, ma nel farlo smettere di essere una prigione. C’è un servizio che può scaturire anche dalla sofferenza. Un apostolato che può essere fatto solo da chi soffre, da chi si trova su una cattedra scomoda che è quella della croce. C’è un rimettersi in piedi che coincide con una ripresa di libertà che nella solitudine a volte si perde. La vicinanza di Gesù guarisce/libera quella donna.

Non dovremmo essere anche noi cosi? Non dovremmo anche noi “chinarci”, prendere per mano, accompagnare chiunque si sente prigioniero di quella febbre che è l’infelicità?

“E subito si alzò in piedi e li serviva”.

Ecco il miracolo: ridare agli altri la dignità di sentire di essere ancora utili, significativi, e non più scartati e senza senso.