“Non è egli forse il figlio del carpentiere?”. Le malevole considerazioni dei compaesani di Gesù hanno al fondo una grande verità. Gesù è davvero il figlio del carpentiere. Lo è almeno per quella decisione di amore immensa che Giuseppe compie dal momento in cui si prende la responsabilità della vita che cresce nel grembo della donna che ama.
Vita, che è vita misteriosa nata da Dio stesso. Giuseppe è padre non perché presta il suo DNA a Gesù ma perché decide di amarlo come un padre per tutta la vita. È sempre “nostro” ciò di cui ci prendiamo la responsabilità di amare. In un certo senso il cielo conserva una grande gratitudine nei confronti di quest’uomo, ma la festa di oggi ce lo fa guardare per un aspetto che può sembrare troppo marginale, troppo sociale, troppo orizzontale: il lavoro.
Giuseppe per portare il pane a casa lavorava e, molto probabilmente, quello stesso mestiere lo avrà insegnato a Gesù. Nessuno di noi nasce semplicemente per lavorare eppure il lavoro fa parte delle cose più importanti della vita di una persona. E questo non solo perché ne fornisce concretamente il sostentamento, ma perché il lavoro fa emergere con chiarezza la dignità di una persona, la sua libertà, la sua passione, la sua creatività.
Ognuno ha bisogno di sentirsi “utile”, cioè capace di contribuire alla vita stessa. Privare del lavoro una persona significa ledere la sua stessa dignità. Ma si può schiacciare la dignità di una persona anche con il lavoro stesso, perché esso potrebbe essere solo una forma di umiliazione, di sfruttamento, di egoismo legalizzato. Giuseppe ci insegna che bisogna farsi santi anche lavorando.
E questo accade solo quando si lavora per un “motivo” concreto che è sempre “per amore di qualcuno”. Giuseppe avrà lavorato per amore di Maria e di Gesù e quell’amore ha lasciato un segno sulla vita di Gesù stesso. La gente non vede subito il figlio di Dio, vede innanzitutto il figlio del carpentiere. Ma non c’è nulla di male nel partire da una costatazione così terrena per poi far spazio a qualcosa di più grande.
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Mt 13, 54-58
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
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