Alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla». I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia.
Il ragionamento di questi abitanti di Gerusalemme non fa una piega: Dio se è Dio deve stupirci, deve essere circondato da un alone di mistero, deve saper fare qualche effetto speciale, mentre invece di Gesù si sa tutto, si sa da dove viene, chi è la sua famiglia, dove ha giocato, dove ha studiato. Uno che si conosce non può essere Dio.
La logica è un po’ come stare davanti alla donna della tua vita e ignorarla perché magari ci sei cresciuto insieme, mentre nella tua testa ti sei immaginato che la donna della tua vita sarebbe arrivata non si sa da dove e quando, e si sarebbe palesata a te come una ninfa o una sirena.
I principi azzurri non arrivano sul cavallo bianco, e magari non sono nemmeno azzurri, ma rimangono principi. Lo sono perché diventano decisivi per la tua felicità ma sono completamente impastati di normalità. Dio ha scelto la stessa modalità, per venirci incontro ha scelto di abitare la nostra vita, la nostra storia. Non voleva stupirci, voleva sorprenderci. È la sorpresa di accorgersi che è davanti a noi, ad un passo. E soprattutto che è ora, che è adesso. «Lui è qui» direbbe Charles Peguy. La vera conversione dovrebbe riguardare allora il nostro sguardo, i nostri occhi.
Saper guardare in maniera nuova la stessa cosa e non cercare semplicemente qualcosa di nuovo. La novità è nascosta nelle pieghe. La novità è sapersi accorgere. Tutta la vita spirituale dovrebbe essere un tentativo di superare il sensazionalistico e di trattare invece con tutta la sacralità di cui siamo capaci le cose normali, le cose di ogni giorno, il già visto che abitiamo.
«Dio è lì», nei dettagli, diceva un grande architetto, e aspetta noi, e aspetta che lo prendiamo sul serio e che costruiamo a partire proprio da quel dettaglio.
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I ragionamenti della gente di Gerusalemme assomigliano così tanto ai nostri: “Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, e non gli dicono niente. Che forse i capi abbiano riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia”. Non di rado anche per noi il metro di giudizio è la critica, e la nostra convinzione di fondo è che ciò che pensiamo già di conoscere non ha dentro nessuna novità.
Delle volte è così che trattiamo chi ci vive accanto, con critica e rassegnazione. E in entrambi i casi se potessimo far fuori le persone e le nostre routine lo faremmo senza pensarci due volte. Eppure quella gente si trova di fronte a Cristo, al Figlio di Dio, al Senso di tutta la vita, ma lo trattano con aria di sufficienza e presunzione.
Presumere di sapere è la radice di ogni nostra tragedia personale. Invece ogni rivoluzione e cambiamento nascono dal ragionevole dubbio che forse noi non sappiamo tutto e che faremmo bene a fidarci ogni tanto. «Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: “Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io però lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato».
Il fastidio di cui è portatore Gesù è il fastidio che si prova davanti a una persona profondamente aggrappata a un significato. Le persone che hanno trovato un senso nella propria vita, sono felici. E le persone felici infastidiscono perché ci ricordano la nostra infelicità e fanno crollare la convinzione che l’infelicità è sopportabile solo perché tutti sono infelici.