don Luigi Maria Epicoco – Al cuore del Vangelo + intervista

846

Catechesi di don Luigi Maria Epicoco tenuta a VICENZA presso il Centro Culturale San Paolo sul tema della comunicazione del Vangelo nei nostri tempi.

Link al video

Questa l’intervista a cura di sr. Naike Monique Borgo – dal sito della Diocedi di Vicenza

Don Luigi Maria Epicoco: scrittore, prete, docente… Ci sono tante vocazioni nella vocazione, ma a Lei come piace presentarsi?

Sacerdote, sacerdote, sacerdote. Le altre sono modalità per esprimere il sacerdozio.

Quale di queste vocazioni sente che è più urgente nel relazionarsi con le persone? Sempre il sacerdozio o un’altra?

E’ sempre il sacerdozio perché mi accorgo che l’unica cosa davvero interessante che io posso dare alla gente è Gesù Cristo. Ed è Gesù Cristo come forma di nostalgia nella letteratura, nella ricerca… E’ Gesù come gioia che troviamo negli incontri. Gesù come la risposta alla domanda di senso che ci portiamo nel cuore… Insomma, è Lui l’unica cosa interessante che vorrei dare. Non so se ci riesco, ma vorrei darlo.

Quale libro L’ha scavato di più interiormente?

I miei libri non nascono a tavolino, cioè non mi fermo a scrivere appositamente e sono quasi sempre appunti di incontri, situazioni molto concrete… Sono libri che nascono parlando. Un libro che mi ha fatto molto piangere quando l’ho scritto è “Solo i malati guariscono”, ma l’ho scritto piangendo perché è stato il mio modo di elaborare un momento difficile della mia vita. Ho vissuto il terremoto de L’Aquila del 6 aprile 2009 e quel libro è stato un po’ come il mio punto sulla sofferenza, in particolare su quella che ho provato. Mi ha fatto soffrire più di altri mentre lo scrivevo, ma era una sofferenza grata perché, mentre lo scrivevo, mi accorgevo di quanta grazia fosse nascosta anche in tutta quella oscurità.

E in generale quale libro L’ha scavata di più? A parte la Bibbia, ce ne consegna uno?

A me piace tantissimo la letteratura e nella mia vita ci sono stagioni in cui sono più innamorato di un pezzo di letteratura piuttosto che di un altro… Un libro che mi ha aiutato tanto ad entrare dentro me stesso è “Le memorie di Adriano” di Marguerite Youssenar. Questo insieme a “Le confessioni” di sant’Agostino è stato un libro decisivo nella mia vita.

Ha già scritto tanti libri. Quale Le ha dato più soddisfazione perché l’ha sentito essere utile per i Suoi lettori?

In realtà nessuno. Io ho un sindrome particolare con i miei libri: non sono mai soddisfatto di quello che scrivo perché è come se quello che volessi dire mi sfuggisse sempre. E’ come se non trovassi la parola più giusta per dire quello che mi sta a cuore e quindi vivo un rapporto molto conflittuale con i miei libri. Infatti, ad un certo punto, decido di non metter più mano alle bozze e le consegno [all’editore, ndr], altrimenti continuerei a cambiarle più e più volte. Posso dire, però, da quanto mi dicono le persone che incontro, che forse il libro che più è arrivato alle persone è “Sale non miele”. Quel testo aiuta tantissimo a riprendere la vita spirituale ed è nato in un modo particolare perché sono appunti di un corso di Esercizi Spirituali che ho predicato ai monaci trappisti di Roma.

Il mondo contemporaneo che vive nel caos si può sentir attratto dalle meditazioni fatte ai trappisti e di fatto lo è stato.

C’è un tema che non ha ancora toccato, che La incuriosisce e di cui Le piacerebbe scrivere?

Da qualche settimana dentro di me sento il tormento di Giobbe e vorrei scrivere qualcosa sul significato del dolore, in particolare del tentativo degli amici di Giobbe di spiegare il male. Vorrei parlare del male e tentare di dire qualcosa di cristiano a partire dall’esperienza di Giobbe.

Cos’è il cuore del vangelo per don Luigi?

Io credo che il Signore mi abbia fatto un grande dono ed è quello di avere un rapporto speciale con il Vangelo: io sono innamorato del Vangelo. Ogni volta che lo leggo e lo rileggo, mi sembra sempre di leggerlo per la prima volta e mi accosto sempre con un grande stupore tutte le mattine quando devo leggere la pagina del Vangelo del giorno nella liturgia. Il mio è un rapporto di totale dipendenza: lo trovo sempre illuminante, sempre vivo, sempre a me contemporaneo, sempre decisivo… Non è il Vangelo delle risposte come noi ce lo immaginiamo, ma è il Vangelo che risponde in maniera completamente diversa e risponde con la vita.

Gesù ci spiega la vita a partire dalla vita, non si mette mai in cattedra a spiegare concetti.

Qual è il senso che trova di parlare di Gesù e di aiutare la riflessione sulla Parola, ma sempre legandola alla vita?

Con la Parola bisogna stare attenti a non piegare la Parola a quello che vogliamo noi. Bisogna ascoltare mettendosi sempre facendo i discepoli: seguendo qualcuno che non sai dove ti vuole portare e cosa ti vuole dire. C’è poi la diaconia della parola (come la mia), che è una forma di carità: quando qualcuno ti presta delle parole è come se ti prendesse in braccio e portasse a vedere le cose da un altro punto di vista. E’ come se ti fornisse un altro punto di vista. E’ come un bambino che cammina accanto al padre: ha una visione del mondo. Lo stesso bambino sulle spalle del padre vede il mondo con un’altra prospettiva, perché la sua prospettiva sono le spalle del padre. Mi accorgo incontrando tanta gente che nel mio ministero, anche a causa della parola, la gratitudine della gente non è in quanto me [don Luigi, ndr] perché non ho niente di particolare, ma è come se le persone avvertissero un sollievo dato da qualcuno che ha prestato loro una parola, non per cambiare la vita, ma per cambiare il punto di vista sulla vita.

Anche Lei in fondo diventa un ponte perché loro possano incontrare qualcun Altro…

Dico sempre che mi viene da sorridere perché quello che le persone definiscono bello, non sono i miei libri, ma i miei libri aiutano a trovare in loro la bellezza. In realtà ciò che loro definiscono “bello” sono loro, perché quel libro li aiuta a rileggere dentro di loro. Danno la colpa al libro, ma stanno parlando bene di se stessi.

Oltre all’incontro decisivo con il Signore che si sente molto presente nella Sua vita, ce n’è un altro o più di uno che L’ha colpito e ha cambiato la Sua vita?

Le cose più importanti della mia vita sono accadute grazie all’incontro di alcune persone, cioè ci sono state persone decisive in ogni ambito della mia esistenza. Mi sono accorto di come Dio entri nella nostra vita attraverso l’umanità di Gesù Cristo e, sacramentalmente, le persone che ci stanno accanto sono il prolungamento di questa umanità. Adesso la mia famiglia, ma anche la figura di un educatore del seminario, alcuni amici, alcuni volti, il Vescovo che mi ha ordinato…

Alcune persone hanno fatto la differenza dentro la mia vita.

Poi il dolore e la gioia. Se io dovessi dire due grandi date che hanno cambiato la mia vita: una è quella del terremoto che è un’esperienza di profonda sofferenza, semplicemente perché ci sono cose che non ti scegli e sei costretto a vivere. Se io avessi potuto scegliere a tavolino, mi sarei tranquillamente evitato di vivere il terremoto del 6 aprile 2009.

E poi il giorno della mia ordinazione. Per me è un prima e un dopo Cristo. Non mi capacito ancora di quanta misericordia il Signore mi abbia donato con il sacerdozio. Sono felice di essere prete.

Ha già scritto tanti libri su diverse donne: Maria prima di tutte, Etty Hillesum, ma anche altre… Qual è il Suo rapporto con le donne?

Non si può prescinderne per tanti motivi. Primo perché la vita ci è stata data da una madre e c’è sempre del materno in tutto ciò che noi facciamo. Le donne di cui mi sono occupato sono prima di tutto Maria, perché io vengo da un paesino del Sud, nel quale a volte abbiamo il dubbio se crediamo in Gesù Cristo, ma in Maria assolutamente sì. Nella Madonna è sicuro che crediamo. C’è una sproporzione nei confronti di Maria, ma che è anche sana perché se vissuta bene porta inevitabilmente a Gesù1. Ho questo legame particolare con Maria e… “non basta mai parlare di lei”, come diceva san Bernardo, perciò quando mi capita di farlo, continuo a parlare di lei.

E poi, Etty Hillesum, giovane ebrea morta a 29 anni ad Auschwitz che è stata una straordinaria scrittrice, pensatrice e ci ha lasciato un diario bellissimo… Ecco, quella è stata un’altra lettura decisiva della mia vita e lì c’è tutto: c’è la parte affettiva, psicologica, ma c’è anche la parte spirituale quasi mistica… c’è gusto estetico, c’è letteratura, c’è introspezione… C’è molta vita e per questo è una lettura inesauribile, tanto che più passa il tempo e più viene amata.

Secondo Lei, quale ruolo dovrebbero avere come donne all’interno della Chiesa? Come sta percependo la Chiesa in merito?

Dovremmo guardare la storia della Chiesa nella sua unità per renderci conto che c’è qualcuno di più importante nel collegio degli apostoli ed è Maria. Inoltre Gesù è consegna l’evento della risurrezione a Maria Maddalena, la c.d. apostola degli apostoli.

Credo che ci riempiamo spesso la bocca con il “genio femminile”, ma di fatto non diamo mai spazio a questo “genio femminile”. Esso non è fare le stesse cose che fanno gli uomini, ma dare spazio affinché ci sia una maniera nuova attraverso la quale quella donna possa diventare più significativa. Se una donna diventasse sacerdote non credo che questo le permetterebbe di essere più significativa. Immagino piuttosto una Chiesa che faccia spazio affinché la donna possa esprimere fino in fondo la sua vocazione di donna all’interno della Chiesa, portando non una fotocopia del maschile, ma qualcosa di nuovo. Una complementarietà che però è una novità.

Spero che qualcuno ci stupisca.

Chi sono i poveri per Lei? In questo contesto socio-economico ne vediamo tanti…

Io sono allergico alla questione della povertà, non ai poveri. Sono allergico perché a volte per semplificare le questioni le riduciamo e le facciamo diventare quasi degli slogan…

Il povero per me è uno che non può darti il contraccambio, in termini di simpatia, di tempo… Li percepisci nella tua vita come persone che prendono e basta, che sono inutili perché non portano da nessuna parte…a nessun utile, appunto. Gesù dice di perdere tempo con le persone inutili, cioè con quelle che sembrano farci perdere tempo. E’ una conversione interessante, perché i poveri intralciano il cammino e ti costringono a fare i conti con la categoria dell’inutilità, che altro non è che il sinonimo di gratuità.

Ha fatto l’esperienza di essere inutile per qualcuno o ha avuto l’impressione di esserlo?

La sera quando mi faccio l’esame di coscienza, ringrazio il Signore perché è una grande scuola il ricordo dei miei peccati e mi fa rendere conto che, se sono utile al Signore, non è perché su di me è stato cucito un vestito di personaggio. La gente può essere convinta che io sia utile in quella parte di me, ma in realtà sono utile al Signore in quella parte di me che non accetto, che non amo, che non accolgo, che mi fa sentire molto fragile, per la parte di me che mi fa sentire crocifisso, per la parte di me inutile, per lo scarto… In realtà, ha ragione san Paolo quando dice “quando sono debole, è allora che sono forte”, cioè se in qualche maniera sarò stato utile, lo sarò stato per l’offerta di questa mia debolezza e non per tutto quello che luccica e che può avere il rischio di dare più gloria a me che al Signore.

E’ un cammino orientato comunque verso la santità… C’è un’indicazione per aiutare a capire se si sta camminando davvero nel cammino di santità?

Io credo che la vera domanda che ci deve tormentare è “cosa c’entra con me quello in cui credo?”. Se Cristo non c’entrasse in ogni singolo frammento della nostra vita, allora sarebbe una nostra invenzione e basta. La fatica della santità è di renderci conto di come Cristo c’entri sempre.

La santità poi dà un gusto della vita che è completamente diverso, cioè permette di avvertire una pienezza pur nelle difficoltà. E’ senso di pienezza. Scherzando con i miei studenti universitari, dico che quando c’è il dono della fede, si vive in HD… cioè ad un’alta risoluzione della vita: è cento volte tanto. Cosa significa? Che la santità è aver risolto tutti i miei problemi? No. La santità è gustarmi fino in fondo i miei problemi. E’ sentire che se dovessi morire questa notte, ne è valsa la pena.

Rispetto ai giovani, ha fatto l’esperienza molto dura del terremoto. Quale priorità sente nei loro confronti e perché?

Bisogna smettere di volersi accaparrare i giovani, di volerli stupire con effetti speciali… I ragazzi oggi hanno bisogno di un padre, di figure di riferimento. Hanno bisogno di qualcuno che dica loro non che cosa fare, ma che ricordi loro che sono liberi, che devono prendere in mano la loro vita e farci qualcosa con questa vita. A me sembra che la nostra pastorale sia una pastorale di intrattenimento, ma noi non dobbiamo intrattenere. Peggio ancora, non dobbiamo trattenere. La nostra pastorale deve spingere fuori, deve spingere le persone a prendere delle decisioni grandi nella loro vita. Dovremmo tornare al Vangelo, togliendo tutto ciò che ci sembra che non faccia ondiens. I giovani oggi detestano le cose annacquate. Forse dovremmo tornare a questo, senza paura. Gesù lo dice chiaramente “volete andarvene anche voi?”. Provocatoriamente, ma è qui che o resta in piedi o cade tutto…

Di Amoris Laetitia cosa L’ha colpito?

La narrazione positiva della famiglia. Penso però che vi sia una lettura diabolica di A.L. e che nasca dal fatto che il diavolo non ha mai una visione complessiva delle cose, allora ci fa fissare su un dettaglio e ci fa entrare in paranoia con quel dettaglio, dimenticando che esiste il tutto.

Non possiamo capire la portata di un documento del genere se continuiamo a fidarci di quello che ci dicono per esempio i media, perché è come guardare solo un dettaglio di quel documento.

Il Papa e il Sinodo ci hanno fornito una narrazione bella della famiglia e io credo che il mondo di oggi non abbia bisogno di altri divieti o di altri niet [no, ndr], ma abbia bisogno che quello in cui crediamo sia veramente bello, cioè se lo mostriamo nella sua gioia, nel suo splendore…abbiamo già fatto tanto.

In questo caso viviamo in HD, come dicevi primaEh sì, è esattamente così.

Come bisogna far risuonare la Parola di Dio oggi?

Io non sono un catecheta e non sono un esperto di questa tematica. Parlo della mia esperienza2. Mi accorgo che se una catechesi si limita a dare delle informazioni, questo non cambia la vita delle persone. C’è una sorta di circuito nella catechesi: la persona che dice qualcosa è direttamente coinvolta con quella cosa che esprime, quindi anche la sua vita è direttamente coinvolta. Quello che sta dicendo ha delle conseguenze molto concrete nelle vite delle persone che stanno ascoltando e tutto questo non può non andare a toccare la nostra capacità di pregare.

Ho unito alcune parole: tu annunci una parola, questa parola inevitabilmente deve passare attraverso la testimonianza, la testimonianza deve suscitare delle scelte, le scelte sono mature soltanto quando sono carità, la carità è vera soltanto quando è mescolata nella liturgia, cioè va a finire insieme nell’Eucarestia… Forse dovremo ri-tenere insieme un po’ tutto. C’è uno scollamento: da una parte diamo delle informazioni, dall’altra diamo dei sacramenti, dall’altra parte c’è la nostra vita che va alla deriva con delle altre scelte. Non riusciamo più a tenere insieme tutti gli ingredienti.

Forse è uno scollamento che riguarda un’identità molto più frammentata…

Sì, questo sì, ma sono d’accordo col Papa quando dice che è sempre accovacciata alla nostra porta l’eresia pelagiana, cioè quella di credere che il buon risultato del nostro annuncio, della nostra pastorale… risieda nelle nostre strategie. La grazia… Uno ci crede oppure non ci crede alla Grazia! Forse dovremmo fare un atto di fede un po’ più grande: questo credo porterebbe molto più frutto di tante nostre strategie.

Nei Suoi occhi molto espressivi si legge la gioia che vive toccando alcuni temi. E’ bello essere cristiani perché abbiamo incontrato Gesù, ma rischiamo di essere considerati bigotti… perché essere gioiosi allora?

La gioia non si può emulare. Non si può fingere: o c’è o non c’è. Mentre sto parlando ora, nella mia testa ci sono tanti problemi e preoccupazioni che devo risolvere, questioni che ho lasciato a casa, ma anche mie personali.

Se c’è però una gioia di sottofondo è data dall’esperienza di sentirmi amato e di appartenere a qualcuno. Credo che questa sia l’esperienza primordiale del cristianesimo e mi fa dire, forse in controtendenza, che tutti parlano di un momento molto difficile che stiamo vivendo, ma io sono estremamente convinto che stiamo vivendo un periodo bellissimo e che sta per scoppiare una primavera che ci stupirà. Ne sono estremamente convinto e questa cosa non mi fa vivere preoccupato. In fin dei conti, già ci pensa il mondo a deprimerci. Se noi ci mettiamo in fila e facciamo la stessa cosa, qual è la nostra differenza? Dice Gesù “non fanno così anche i pagani?”.

Senza fingere, l’esperienza di Cristo risveglia dentro di te un senso della speranza che il mondo non ti può dare, ma che tu avverti quando è tutto perduto. Se una persona si ricordasse della primavera quando è pieno inverno, vivrebbe molto meglio l’inverno. Si godrebbe e andrebbe a sciare. Noi non ci godiamo niente di questa crisi, forse perché ci manca la speranza.

Naike Monique Borgo

NOTE

1 Don Luigi Maria Epicoco fa qui riferimento alle tradizioni della religiosità popolare (processioni, canti…) tipici del suo paese di nascita. Intende sottolineare la devozione quasi sproporzionata davanti ad alcuni santi e a Maria rispetto a quella per il Signore Gesù (Ndr).

2 Don Luigi Maria Epicoco fa qui riferimento alla sua esperienza di giovane parroco (ndr).