Benedetto colui che viene nel nome del Signore
Con questa domenica, chiamata “Domenica delle Palme e della Passione del Signore”, inizia la settimana, detta santa, che ha il suo culmine nel triduo pasquale della morte e risurrezione del Signore e racchiude in sé i due aspetti dell’unico mistero: quello della umiliazione e quello della glorificazione. Nella prima parte della liturgia celebriamo un momento di festosa accoglienza di Gesù in Gerusalemme, come Messia.
L’evangelista Luca scrive che la gente acclamava: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore». L’ingresso di Gesù a Gerusalemme suscita l’entusiasmo dei discepoli e il disappunto dei farisei. Il Messia, dunque, entra in città circondato dalla sua gente, circondato da canti e grida chiassose. È il grido di uomini e donne che lo hanno seguito perché hanno sperimentato la sua compassione davanti al loro dolore e alla loro miseria. Come non acclamare colui che aveva restituito loro dignità e speranza? È la gioia di tanti peccatori perdonati che hanno ritrovato fiducia e speranza.
Questa gioia osannante, però, risulta scomoda e diventa assurda e scandalosa per quelli che si considerano giusti e fedeli alla legge e ai precetti rituali: «Alcuni farisei tra la folla gli dissero: “Maestro, rimprovera i tuoi discepoli”». Com’è difficile comprendere la gioia e la festa della misericordia di Dio per chi cerca di giustificare se stesso! Com’è difficile poter condividere questa gioia per coloro che confidano solo nelle proprie forze e si sentono superiori agli altri!
Dopo aver accompagnato, come le folle di Gerusalemme, Gesù nel suo ingresso alla città santa, la liturgia ci mette di fronte alla sorte verso la quale corre ogni discepolo e quindi anche il discepolo per eccellenza: Gesù di Nazaret. Davanti allo scandalo della sofferenza, soprattutto dell’ingiustizia, la tentazione è quella di voltarsi da un’altra parte, di tentare di scansarla. Il Servo del Signore, invece, non si sottrae. Nella prima lettura, infatti, il profeta Isaia parla di un Servo, il Servo del Signore, il quale non ha sottratto la faccia agli insulti e agli sputi, sapendo di non restare deluso. Isaia, infatti, nel Terzo canto del Servo del Signore scrive: «Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste».
Il Servo obbediente e sofferente, ossia il Cristo, ha la certezza che Dio non lo abbandonerà ed è per questo che «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (II Lettura). Dio Padre, scrive san Paolo, per questa sua fedele obbedienza, lo ha glorificato e lo ha costituito Signore: «Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è il Signore!”, a gloria di Dio Padre».
Luca, nel suo racconto della Passione, ci presenta il Signore Gesù, che va incontro alla sua passione e morte con fiducia nel Padre, come modello di misericordia e perdono. Egli prega per i crocifissori, non tanto per i soldati, quanto per i capi che avevano organizzato la sua condanna: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Al ladrone che si rivolge a lui dà la consolante promessa: «Oggi con me sarai nel paradiso». Ed infine muore rimettendosi totalmente alla volontà di Dio: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».
Questo brano evangelico vuole farci capire che il discepolo è colui che segue il Maestro e rimane con lui nella tentazione e nella prova, colui che porta la croce ogni giorno facendo sempre la volontà di Dio. Invece, il discepolo che non è fedele, come Pietro, gli rimane sempre la via del pentimento e la speranza del perdono. I rami di ulivo, infine, stanno ad indicare che ciascuno di noi deve riconoscere che Gesù è il Signore.
Poniamoci, dunque, delle domande: noi siamo dei discepoli fedeli o infedeli? Siamo come Pietro che nega di conoscere il Maestro o come Giuda che lo tradisce? Ci comportiamo come Pilato, da codardi, lavandoci le mani, o cinici come Erode? Simone di Cirene ha portato, insieme a Gesù, il peso della croce. Portiamo ogni giorno la nostra croce senza lamentarci? Siamo disposti ad amare e ad aiutare il nostro prossimo?
Facciamo nostre le parole del centurione il quale fa un’autentica professione di fede: «Veramente quest’uomo era giusto». Sì, Gesù è il Giusto perseguitato, il Figlio di Dio, il Verbo fatto carne, che è venuto nel mondo per rivelarci il volto misericordioso del Padre.
Don Lucio D’Abbraccio
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