Le mie pecore ascoltano la mia voce
La liturgia di questa quarta domenica di Pasqua è dominata dalla figura di Gesù, Pastore buono. Per comprendere la figura del pastore, oggi purtroppo non più abituale per noi, dobbiamo fare riferimento alla vita palestinese del tempo di Gesù: l’ovile era un grande recinto, delimitato da sassi accatastati senza calce. Alla sera i pastori, tornando dai vari pascoli, accompagnavano le proprie pecore all’ovile e, durante la notte, vegliavano per difenderle dai lupi e dai ladri. Al mattino una scena commovente: ciascun pastore entrava nel recinto e chiamava le proprie pecore ed esse seguivano il proprio pastore, perché conoscevano il timbro della sua voce o il segnale del suo richiamo.
Proprio questa scena fa esclamare a Gesù: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono». Il Signore con questa affermazione sottolinea il rapporto reciproco tra lui e le singole pecore del suo gregge. Notiamo che Gesù prende il pastore come immagine della sua missione: eppure i pastori erano considerati una categoria abietta. Ma davanti a Dio non esistono categorie abiette perché l’Onnipotente ama tutti noi che siamo suoi figli. Anche quando sbagliamo Dio ci ama e ci amerà sempre perché lui è Amore infinito.
Ascoltare la voce del Signore significa, dunque, affidarsi a lui e seguirlo con fiducia e sicurezza, dovunque ci conduca. Viene subito da chiedersi: come è possibile conoscere la voce di Gesù? È possibile riconoscere la voce del Signore solo se vinciamo il nostro egoismo. Se non ci convertiamo e non chiediamo perdono a Dio delle nostre colpe, non riconosceremo mai la voce di Gesù. Chi si preoccupa solo di accumulare tesori materiali non potrà mai sentire la voce del Signore; chi si preoccupa solo di se stesso non potrà mai seguire il buon Pastore, perché il superbo, l’egoista, l’orgoglioso hanno il cuore chiuso all’amore misericordioso del Signore. Sorgono spontanee delle domande: noi ascoltiamo la voce di Cristo? Siamo disposti a seguirlo incondizionatamente? Siamo disponibili ad annunciare la parola del Signore non solo a parole ma soprattutto con la testimonianza della nostra vita?
Gesù obbedendo al Padre ha dato la vita per le pecore, morendo in croce, in modo che esse abbiano la vita eterna e non siano strappate dalla sua mano e non vadano mai perdute: «Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre».
Le parole di Gesù dette ai Giudei nel tempio di Gerusalemme, nei giorni in cui si celebra la festa di Hanukkah o della Dedicazione (questa festa rappresentava per gli ebrei una ricorrenza di orgoglio nazionale, perché ricordavano la ri-santificazione del tempio che era stato profanato da Antioco IV Epifane e ciò esprimeva la certezza del popolo che Dio era con loro e per loro), non furono comprese e accolte perché essi erano convinti di essere loro il popolo di Dio e non accettavano ciò che Gesù diceva anzi, ritenevano una bestemmia ciò che aveva detto. Perché questo atteggiamento di ostilità? Perché il loro cuore era chiuso alla conversione ed erano ostinati a restare nelle tenebre anziché accogliere la luce.
Purtroppo stiamo vivendo in tempi difficili, tanti di noi hanno l’impressione di essere sballottati nella tempesta, senza che nessuno possa intervenire e salvarci. Una tempesta che sconvolge non solo la vita sociale, ma anche, e non di meno, quella ecclesiale. Però Gesù ci incoraggia e ci dice: «Io e il Padre siamo una cosa sola». Ciò significa che lui è il Messia, il Figlio di Dio, la potenza di Dio che si è fatta visibile, è l’amore di Dio che cammina per le strade di questo mondo tormentato, e soffre con chi soffre, e si sente umiliato e sbeffeggiato a causa di chi si dice cristiano e non lo è, e soprattutto a causa di chi è suo ministro e invece serve se stesso e quindi l’avversario.
Oggi, domenica del buon Pastore, la Chiesa ci invita a pregare per le vocazioni. Ci lamentiamo delle poche vocazioni. Purtroppo mancano le vocazioni perché tra i tanti rumori del mondo è sempre più difficile ascoltare la voce di Gesù che parla alla sua Chiesa e a ciascuno di noi. I giovani di oggi vivono nel benessere e seguendo le mode del momento assumono stili di vita mondani, lontanissimi dalla logica del Vangelo.
La colpa, però, è anche nostra perché anziché dare un buon esempio ai giovani li scandalizziamo con i nostri comportamenti. Invece di accoglierli, molte volte li respingiamo, con molto garbo, facendo loro capire che in parrocchia si è sempre fatto così; ognuno ha il suo ruolo, e non vi è spazio per gli altri e per le novità. Non siamo disposti ad ascoltarli perché non abbiamo tempo. Chiediamo perdono al Signore e impariamo che il comando non significa potere, ma servizio.
Papa Francesco nel Regina Coeli del 21-4-2013 ha detto: «Le vocazioni nascono nella preghiera e dalla preghiera; e solo nella preghiera possono perseverare e portare frutto. Dietro e prima di ogni vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata, c’è sempre la preghiera forte e intensa di qualcuno: di una nonna, di un nonno, di una madre, di un padre, di una comunità. Invochiamo l’intercessione di Maria, nostra Madre, che è la Donna del “sì”, affinché ci aiuti a conoscere sempre meglio la voce di Gesù e a seguirla per camminare nella via della vita».
Don Lucio D’Abbraccio
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