don Lucio D’Abbraccio – Commento al Vangelo del 7 Novembre 2021

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Don Lucio D’Abbraccio

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Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri

Nel Vangelo abbiamo ascoltato che Gesù nel suo insegnamento diceva alla folla: «Guardatevi dagli scribi». Può sembrare una condanna verso questa categoria di persone, ma in realtà non lo è perché il Maestro ha sempre predicato che Dio non guarda l’esterno ma l’interno, dunque questa affermazione del Signore vuole farci capire che non esistono categorie condannate perché dentro ogni categoria esiste il buono e il cattivo. Allora non bisogna mai generalizzare né in bene né in male perché il Padre nostro che è nei cieli non giudica le categorie, ma le persone.

Fatta questa precisazione, chiediamoci che cosa significano le parole di Gesù quando dice: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti». Le lunghe vesti erano quelle delle riunioni religiose. Ma questo non è peccato perché anche oggi il clero indossa sia durante la celebrazione eucaristica, sia durante le confessioni, sia durante le processioni etc lunghe vesti.

«Ricevere saluti nelle piazze». Non c’è nulla di male. La buona educazione ci insegna che salutare non è peccato. Un tempo, oggi un po’ meno, quando si incontrava il sacerdote lo si salutava dicendo “Sia lodato Gesù Cristo”.

«Avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti». Anche questo non è peccato. Possiamo dire che c’è un po’ di vanità, questo sì. Notiamo, infatti, che alle riunioni, molte volte anche ai pranzi e alle cene, vengono riservati posti d’onore al clero e alle persone notabili.

E allora che cosa è peccato? Cosa condanna nostro Signore?

Gesù – prosegue l’evangelista – continua dicendo: «Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Il testo greco dice: «una condanna maggiore». Questo è il punto decisivo; questo è ciò che condanna il Maestro! Gesù, alla folla vuol far capire, con l’affermazione “Guardatevi” che deve stare “Attenta” a coloro che sfruttano i poveri, i deboli (le vedove stanno ad indicare queste categorie) e poi “fanno lunghe preghiere per farsi vedere, per farsi elogiare”. Qui sta il grande peccato! Il Signore, infatti, condanna l’ipocrisia e ci ricorda: chi prega di più, deve amare di più. Chi si accosta a Dio, deve assomigliare a Dio. Quando preghiamo non dobbiamo metterci in mostra e soprattutto la nostra preghiera deve essere vera, sincera, fatta col cuore e non solo con le labbra.

Molte volte sento dire: “Dio non mi ascolta”. Non è vero che Dio non ci ascolta. Siamo noi che non ascoltiamo Dio perché il nostro cuore è chiuso alla sua misericordia, al suo amore. Dio ascolta sempre le preghiere che nascono dal cuore.

Nella seconda parte del Vangelo si parla di una vedova (le vedove si riconoscevano dal modo di vestire) che ha gettato due monetine nel tesoro. Il testo greco parla di due spiccioli gettati nella cassa delle offerte. Due spiccioli equivalevano ad un quadrante ossia ad un soldo (0,01€). Gesù, nel vedere questa scena, chiama i suoi discepoli e dice loro: «Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Che cosa, Gesù, vuol far capire ai suoi discepoli e a noi? Che il valore di un’azione dipende dall’intenzione con cui si fa; un’intenzione buona e generosa può rendere grande un’azione in sé piccola ed insignificante. Dio giudica il cuore non l’apparenza.

Nel primo libro dei Re si parla del profeta Elia che a Sarèpta ha incontrato una vedova, la quale, benché ridotta alla miseria estrema, seppe condividere con lui le poche cose che le rimanevano per vivere insieme a suo figlio. Questa povera vedova ha donato tutto con amore e, quando si dona tutto, si riceve tutto: «La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia» (I Lettura).

Queste due vedove, entrambe molto povere, dimostrano una grande fede in Dio. Da questi due episodi biblici, sapientemente accostati, si può ricavare un prezioso insegnamento sulle fede. Essa appare come l’atteggiamento interiore di chi fonda la propria vita su Dio, sulla sua Parola, e confida totalmente in lui. È questo il dono che il Signore gradisce, l’offerta vera, il sacrificio autentico, il culto sincero. Di fronte a coloro che cercano la propria esaltazione, compiendo per questo gesti di generosità, la vedova è l’immagine del dono puro, dell’offerta libera e gradita a Dio, della preghiera che lo Spirito suggerisce, della carità vissuta, della fede che trasforma!

Verifichiamo, pertanto, le nostre intenzioni: Perché sono credente? Perché vengo in Chiesa? Perché faccio del bene? Sono disponibile a condividere i miei beni, il mio tempo, con chi è in difficoltà? Se veniamo in Chiesa solo per metterci in mostra, se facciamo del bene solo ed esclusivamente per essere lodati dagli uomini, ciò significa che l’esibizione ha preso il sopravvento e, per tale motivo, è necessario che tutti noi facciamo un attento esame di coscienza. Molti cristiani, purtroppo, credono di amare Cristo, il quale con il suo unico sacrificio ci purifica dal peccato (II Lettura), ma si illudono, perché amano solo ed esclusivamente loro stessi.

Impariamo ad aprire il cuore ai fratelli senza riserve o paure. Charles de Foucauld diceva: “Leggiamo e rileggiamo incessantemente e con attenzione il santo Vangelo per aver sempre incessantemente dinanzi alla mente gli atti, le parole, i pensieri di Gesù, al fine di pensare, parlare, agire come Gesù”. Amen.

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