Don Lucio D’Abbraccio
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La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!
Il brano del vangelo ci parla della missione. Il Signore, scrive san Luca, «designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi». Settantadue è un numero simbolico: esso fa riferimento ai settantadue popoli che hanno origine dai figli di Noè, come racconta la Genesi, oppure secondo alcuni richiama i settanta anziani che furono chiamati a collaborare con Mosè. Inoltre ai tempi di Gesù si pensava che settantadue fossero le nazioni sparse sulla terra: ciò sta ad indicare che nessuno è escluso da questo annuncio di salvezza e che tutti siamo apostoli, tutti siamo missionari.
L’evangelista sottolinea che costoro non vanno da soli, ma due a due, perché la prima testimonianza che devono portare è quella della vita comunitaria di fratelli che si vogliono bene e vivono quello che annunciano, ma anche perché dove due o tre sono uniti tra loro, il Signore è in mezzo a loro. Luca prosegue scrivendo che Gesù diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!». Ciò significa che non dobbiamo scoraggiarci per le difficoltà che incontreremo: la società al tempo di Gesù non era certamente più disposta ad accogliere il vangelo di quanto lo sia la società di oggi. Cristo lo sa bene, ed è per questo che invita i suoi a pregare affinché questa sproporzione tra l’ingente messe e la scarsità di operai, possa essere colmata dalla preghiera in modo che il Signore della messe invii operai. Del resto, non c’è missione che non sia preceduta da una supplica a Dio. Del resto, non aveva lo stesso Gesù dato l’esempio, pregando prima di chiamare i Dodici? (cf Lc 6, 12-13).
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L’apostolo Paolo, nella lettera ai Filippesi, scrive: «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (cf Fil 4, 13). Purtroppo noi crediamo molto in noi stessi, nelle nostre forze e pochissimo in Dio. Per questo il nostro apostolato non parte dalla preghiera vera, dalla preghiera umile, dalla preghiera perseverante: e allora restiamo sconfitti.
I settantadue sono inviati da Gesù «come agnelli in mezzo a lupi»: essi sono inermi, dotati solo della capacità conferita loro da Gesù di sottrarre terreno all’azione di satana, attraverso parole e azioni che attingono la loro efficacia dalla potenza del Signore. Il Signore, quindi, non nasconde che i missionari incontreranno difficoltà e rifiuto. Essi però hanno il modello da seguire: Cristo Signore. L’unica loro preoccupazione deve essere quella di annunciare il Vangelo. Per questo devono essere liberi e agili, non appesantiti da nessun segno di ricchezza o di potere e non distratti da saluti lunghi e formali; infatti la pace che essi portano non è solo augurio verbale, ma dono autentico e raggiunge la vita di chi è già desideroso di riceverla; non basta annunciare la pace, occorre essere operatori di pace.
Inoltre, essi accetteranno l’ospitalità del primo che li accoglie, senza cercare sistemazioni più comode e gradevoli; mangeranno e berranno quello che sarà loro offerto, guariranno i malati e diranno loro: «È vicino a voi il regno di Dio». Però, prosegue l’evangelista, essi incontreranno anche persone che non li accoglieranno, ma il regno è presente pure per loro, sotto forma di giudizio di condanna. Ma costoro non vengono condannati subito, come avrebbero voluto Giacomo e Giovanni. Fino al giudizio ci sarà ancora tempo di conversione, come è avvenuto proprio con i samaritani, che non hanno accolto Gesù, ma accoglieranno i missionari dopo la risurrezione, secondo il racconto degli Atti.
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Ed infine, i settantadue, tornando dalla loro missione sono pieni di gioia, ma anche un po’ esaltati: hanno predicato e hanno fatto miracoli nel nome del Signore, in particolare hanno vinto contro i demòni, che davanti a loro sono fuggiti. Ciò significa che chi si affida radicalmente a Cristo sperimenta la sua protezione e ascolta la sua voce che lo rassicura: «nulla potrà danneggiarvi».
Dunque, anche di fronte al successo della missione, il cristiano riconoscerà che ciò è dovuto essenzialmente all’intercessione di Cristo stesso e, questi doni sono stati dati dal Signore per annunciare il Vangelo e servire gratuitamente i nostri fratelli. Il motivo della gioia, allora, deve essere un altro: collaborare con Cristo e accettare la croce che il Signore ci da’! Ciò ci prepara un posto in paradiso «rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
Sì, la nostra vera gioia consiste nella protezione del Signore, nel fatto che egli, dopo averci chiamati, non deluderà le nostre attese, ma attraverso di noi diffonderà sulla terra il suo Vangelo: ci è stato chiesto solo di seguire Gesù Cristo dovunque lui vada (cf Ap 14, 4), sapendo che possiamo annunciarlo agli altri uomini solo se egli vive in noi.