Don Lucio D’Abbraccio
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Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?
Nelle letture della solennità dell’Ascensione abbiamo ascoltato per due volte (I lettura e Vangelo) il racconto dell’esodo di Gesù da questo mondo al Padre. Dopo quaranta giorni dalla sua resurrezione, Gesù si distacca dai discepoli, «fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi».
Tutti vorremmo, se fosse possibile, vedere Cristo con i nostri occhi; tutti, come Tommaso, vorremmo toccare le sue ferite con le nostre mani per appoggiarci alla sicurezza della sua presenza. Chi di noi non desidererebbe vedere il Signore?
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Negli Atti degli Apostoli viene posta a Gesù una domanda: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Questa domanda è la stessa delle prime comunità, le quali attendevano come imminente il ritorno del Signore Gesù. Il Risorto, in modo fin troppo chiaro, risponde: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». Ciò significa che come gli apostoli e le prime comunità così anche noi siamo invitati ad assumere consapevolmente e attivamente la prosecuzione della missione di Gesù: portare insieme a lui con la forza dello Spirito il Vangelo fino ai confini del mondo e alla fine della storia. Ecco il senso della festa di oggi. Con l’Ascensione di Gesù accade ciò che avviene a ogni bambino, quando la mamma improvvisamente stacca le sue braccia e lo lascia camminare da solo. Infatti con l’Ascensione di Gesù è nata la missione della Chiesa.
Luca scrive che mentre Cristo Signore veniva elevato in alto e gli apostoli guardavano fisso il cielo mentre egli se ne andava, all’improvviso si presentarono a loro due uomini in bianche vesti che dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?». Si faccia attenzione: questo non è un invito a guardare solo le cose della terra, ma un monito a non cercare più quella presenza fisica di Gesù di cui i discepoli hanno fatto esperienza nella storia. Gesù non va cercato presso la tomba vuota, né alzando gli occhi verso l’alto per carpire un’apparizione; egli va cercato, oggi come allora, nella comunità cristiana, nell’eucaristia, nelle donne e negli uomini che, in condizione di ultimi, attendono da noi di essere amati; è in costoro che Gesù ha voluto rendersi presente (cf Mt 25, 31-46).
L’ascensione di Gesù al cielo significa, dunque, che egli si separa dai suoi e si assenta da questa terra e, per tale motivo, il Risorto non può più essere visto né nella carne né nella sua forma gloriosa. Tale distacco prelude però a una nuova forma di presenza da parte di Gesù presso la sua comunità, così che i credenti in lui non restano soli, «orfani» (cf Gv 14, 18): per questo nel salire al cielo benedice i discepoli: «alzate le mani, li benedisse».
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Anche noi, come gli apostoli, abbiamo il compito di annunciare la Buona Novella. Seguire Gesù significa vivere come lui. Noi ci impegniamo ad annunciare il Vangelo? Ci sforziamo a mettere in pratica ciò che Gesù ha detto e vivere come lui? Siamo cristiani non per quello che diciamo, ma per quello che facciamo. Mettiamoci davanti al Signore e facendo un attento esame di coscienza domandiamoci: “mi comporto da vero cristiano?”. Non dobbiamo solo predicare ma anche mettere in pratica! Solo se concretizziamo ciò che diciamo, saremo sale della terra e luce del mondo.
Come i Dodici dopo l’ascensione di Gesù erano pieni di gioia, anche noi oggi dobbiamo essere gioiosi e non spaventarci delle proprie debolezze e infermità spirituali; lasciamoci guidare dallo Spirito Santo. Nel quarto vangelo Giovanni scrive che Gesù ha affermato: «È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (cf Gv 16, 7; 14-16).