don Lucio D’Abbraccio – Commento al Vangelo del 26 Aprile 2020

Aiutaci, o Gesù, a riconoscerti!

Ascoltiamo oggi la pagina in cui Luca narra l’incontro del Risorto con i discepoli in cammino verso Emmaus. Siamo, scrive l’evangelista, «in quello stesso giorno [il primo della settimana]», ossia il giorno della risurrezione che diverrà il giorno del Signore, la domenica, in cui la comunità cristiana è radunata per fare memoria della risurrezione.

In quel giorno due discepoli, uno chiamato Cleopa e l’altro senza nome, fanno il cammino inverso rispetto a quello di Gesù: lasciano Gerusalemme per recarsi ad Emmaus, «villaggio…distante circa undici chilometri» dalla città santa. In tal modo mettono fine alla loro sequela e abbandonano la comunità degli Undici. In questo cammino i due, annota l’evangelista, «conversavano di tutto quello che era accaduto». Ed ecco che Gesù stesso, «mentre conversavano e discutevano insieme…si avvicinò e camminava con loro»; essi però sono incapaci di riconoscerlo con gli occhi della fede. In risposta alla domanda di questo forestiero – «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?» – fanno una presentazione di Gesù formalmente ineccepibile ma limitata al suo ministero terreno: egli «fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo». Ma con la sua morte in croce è morta anche la speranza che essi avevano riposto in lui, e come sigillo della loro disillusione adducono il fatto che sono ormai trascorsi tre giorni da questi avvenimenti. È proprio qui che si manifesta la loro durezza di cuore: hanno dimenticato l’annuncio di Gesù secondo cui «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (cf Lc 9, 22).

Quando infine dicono – in maniera scettica – che «alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto», Gesù prende l’iniziativa e dice loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui».

A questo punto lo sconosciuto, «quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, … fece come se dovesse andare più lontano», ma i due discepoli insistono per trattenerlo, perché il loro cuore arde all’ascolto delle sue parole. Gesù entra dunque per rimanere con loro e, «quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro». Sono gli stessi gesti dell’ultima cena (cf Lc 22, 19), quelli con cui Gesù ha sintetizzato tutta la sua vita donando se stesso nella libertà e per amore. Luca conclude scrivendo: «Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista». Subito essi tornarono «a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!”».

L’episodio dei discepoli di Emmaus ci indica che anche noi cristiani oscilliamo tra Gerusalemme ed Emmaus. Crediamo di impegnarci e al tempo stesso siamo presi da dubbi e incomprensioni riguardo ai misteriosi disegni di Dio, da paure di vario genere. Il Signore Gesù in tanti modi si fa vicino a ciascuno di noi. Non pensa di sciupare il suo tempo nel ricercarci, nell’insinuare in noi gli interrogativi più inquietanti per rivedere le nostre posizioni, nell’aiutarci a comprendere le Scritture, nel donarci se stesso nell’eucaristia. Il fatto che siamo qui riuniti vuol dire che siamo «tornati» a Gerusalemme, magari portando ancora il fardello della nostra incredulità. Ogni domenica deve esserci questo ritorno al luogo della fede, della comunione fraterna.

Noi conosciamo il nome di uno dei discepoli che vanno ad Emmaus; l’altro è senza nome perché può essere impersonato da ciascuno di noi. Il pellegrino che si unisce ai viandanti non presenta la sua carta d’identità, si fa compagno di strada, è accolto e accoglie. Gesù si può avvicinare a noi per mezzo di altri fratelli, così come noi dalla fede incerta possiamo saper fare lunghi tratti di strada con altre persone spesso deluse, forse in ricerca di qualche barlume di fiducia e speranza. Il camminare insieme è aiuto reciproco, sempre.

Ci aiuti Dio onnipotente a riconoscere, nella celebrazione del mistero eucaristico, il Cristo crocifisso e risorto, che apre il nostro cuore all’intelligenza delle Scritture, e si rivela a noi nell’atto di spezzare il pane.

don lucio d'abbraccioDon Lucio D’Abbraccio

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