Umili operai nella vigna del Signore!
Nel Vangelo di oggi, Gesù racconta la parabola del padrone della vigna che a diverse ore del giorno chiama operai a lavorare nella sua vigna. E alla sera dà a tutti la stessa paga, «un denaro», suscitando la protesta di quelli della prima ora. È chiaro che quel denaro rappresenta la «vita eterna», dono che Dio riserva a tutti. Anzi, proprio quelli che sono considerati «ultimi», se lo accettano, diventano «primi», mentre i «primi» possono rischiare di finire «ultimi». Un primo messaggio di questa parabola sta nel fatto stesso che il padrone non tollera, per così dire, la disoccupazione: vuole che tutti siano impegnati nella sua vigna. E in realtà l’essere chiamati è già la prima ricompensa: poter lavorare nella vigna del Signore, mettersi al suo servizio, collaborare alla sua opera, costituisce di per sé un premio inestimabile, che ripaga di ogni fatica. Ma lo capisce solo chi ama il Signore e il suo Regno; chi invece lavora unicamente per la paga non si accorgerà mai del valore di questo inestimabile tesoro.
A narrare la parabola è san Matteo, apostolo ed evangelista e, di san Matteo, mi piace sottolineare che, in prima persona, ha vissuto questa esperienza (cf Mt 9,9). Egli infatti, prima che Gesù lo chiamasse, faceva di mestiere il pubblicano e perciò era considerato pubblico peccatore, escluso dalla «vigna del Signore». Ma tutto cambia quando Gesù, passando accanto al suo banco delle imposte, lo guarda e gli dice: «Seguimi». Matteo si alzò e lo seguì. Da pubblicano diventò immediatamente discepolo di Cristo. Da «ultimo» si trovò «primo», grazie alla logica di Dio, che – per nostra fortuna! – è diversa da quella del mondo. «I miei pensieri non sono i vostri pensieri – dice il Signore per bocca del profeta Isaia -, le vostre vie non sono le mie vie» (I Lettura).
Anche san Paolo ha sperimentato la gioia di sentirsi chiamato dal Signore a lavorare nella sua vigna. E quanto lavoro ha compiuto! Ma, come egli stesso confessa, è stata la grazia di Dio a operare in lui, quella grazia che da persecutore della Chiesa lo trasformò in apostolo delle genti. Tanto da fargli dire: «Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno». Subito però aggiunge: «Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere» (cf Fil 1,21-22). Paolo ha compreso bene che operare per il Signore è già su questa terra una ricompensa.
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Ebbene, con questa parabola, Gesù vuole aprire i nostri cuori alla logica dell’amore del Padre, che è gratuito e generoso. Si tratta di lasciarsi stupire e affascinare dai «pensieri» e dalle «vie» di Dio. I pensieri umani sono spesso segnati da egoismi e tornaconti personali, e i nostri angusti e tortuosi sentieri non sono paragonabili alle ampie e rette strade del Signore. Egli – non dimentichiamolo mai – usa misericordia, perdona largamente, è pieno di generosità e di bontà che riversa su ciascuno di noi, apre a tutti i territori sconfinati del suo amore e della sua grazia, che soli possono dare al cuore umano la pienezza della gioia.
Gesù, inoltre, vuole farci contemplare lo sguardo di quel padrone: lo sguardo con cui vede ognuno degli operai in attesa di lavoro, e li chiama ad andare nella sua vigna. È uno sguardo pieno di attenzione, di benevolenza; è uno sguardo che chiama, che invita ad alzarsi, a mettersi in cammino, perché vuole la vita per ognuno di noi, vuole una vita piena, impegnata, salvata dal vuoto e dall’inerzia. Dio non esclude nessuno e vuole che ciascuno raggiunga la sua pienezza. Questo è l’amore del nostro Dio, del nostro Dio che è Padre.
Dalla Vergine Maria, che è tralcio perfetto della vigna del Signore, è germogliato il frutto benedetto dell’amore divino: Gesù, nostro Salvatore. Ci aiuti Lei a rispondere sempre e con gioia alla chiamata del Signore, e a trovare la nostra felicità nel poter faticare per il Regno dei cieli. Amen!
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