Siamo immagine di Dio e a Lui apparteniamo!
La prima di questa domenica, tratta dal Libro di Isaia, ci dice che Dio è uno, è unico; non ci sono altri dèi all’infuori del Signore. Nessun potere terreno, dunque, può mettersi al suo posto.
Nel brano del Vangelo, infatti, si parla se è legittimo pagare il tributo a Cesare. Celebre è la risposta di Gesù: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Ma, prima di giungere a questo punto, gli interlocutori di Gesù – discepoli dei farisei ed erodiani – si rivolgono a Lui con un apprezzamento, dicendo: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno». È proprio questa affermazione, seppure mossa da ipocrisia, che deve attirare la nostra attenzione. I discepoli dei farisei e gli erodiani non credono in ciò che dicono.
Lo affermano solo come una captatio benevolentiae per farsi ascoltare, ma il loro cuore è ben lontano da quella verità; anzi, essi vogliono attirare Gesù in una trappola per poterlo accusare. Per noi, invece, quell’espressione è preziosa e vera: Gesù, in effetti, è veritiero e insegna la via di Dio secondo verità, e non ha soggezione di alcuno. Egli stesso è questa “via di Dio”, che noi siamo chiamati a percorrere. Possiamo richiamare qui le parole di Gesù stesso, nel Vangelo di Giovanni: «Io sono la via, la verità e la vita» (cf Gv 14,6).
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Una breve riflessione anche sulla questione centrale del tributo a Cesare. Il tributo a Cesare va pagato, perché l’immagine sulla moneta è la sua; ma l’uomo, ogni uomo, porta in sé un’altra immagine, quella di Dio, e pertanto è a Lui, e a Lui solo, che ognuno è debitore della propria esistenza. Noi siamo stati creati “a sua immagine” e apparteniamo a Lui. Gesù, inoltre, ricava, dalla domanda postagli dai farisei, un interrogativo più radicale e vitale per ognuno di noi, un interrogativo che noi possiamo farci: a chi appartengo io? Alla famiglia, alla città, agli amici, alla scuola, al lavoro, alla politica, allo Stato? Sì, certo.
Ma prima di tutto – ci ricorda Gesù – noi apparteniamo a Dio. Questa è l’appartenenza fondamentale. È Lui che ci ha dato tutto quello che siamo e che abbiamo. E dunque la nostra vita, giorno per giorno, possiamo e dobbiamo viverla nel ri-conoscimento di questa nostra appartenenza fondamentale e nella ri-conoscenza del cuore verso il nostro Padre, che crea ognuno di noi singolarmente, irripetibile, ma sempre secondo l’immagine del suo Figlio amato, Gesù. È un mistero stupendo!
Il cristiano, dunque, è chiamato a impegnarsi concretamente nelle realtà umane e sociali senza contrapporre “Dio” e “Cesare”; contrapporre Dio e Cesare sarebbe un atteggiamento fondamentalista. Il cristiano è chiamato a impegnarsi concretamente nelle realtà terrene, ma illuminandole con la luce che viene da Dio. L’affidamento prioritario a Dio e la speranza in Lui non comportano una fuga dalla realtà, ma anzi un rendere operosamente a Dio quello che gli appartiene.
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È per questo che il credente guarda alla realtà futura, quella di Dio, per vivere la vita terrena in pienezza, e rispondere con coraggio alle sue sfide. Ebbene, la missione della Chiesa, come quella di Cristo, è essenzialmente parlare di Dio, fare memoria della sua sovranità, richiamare a tutti, specialmente ai cristiani che hanno smarrito la propria identità, il diritto di Dio su ciò che gli appartiene, cioè la nostra vita.
La Vergine Maria, che non ebbe paura di rispondere “sì” alla Parola del Signore e, dopo averla concepita nel grembo, si mise in cammino piena di gioia e di speranza, sia sempre il nostro modello e la nostra guida. Impariamo dalla Madre del Signore e Madre nostra ad essere umili e al tempo stesso coraggiosi; semplici e prudenti; miti e forti, non con la forza del mondo, ma con quella della verità. Amen!
Don Lucio D’Abbraccio
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