Don Lucio D’Abbraccio
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Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa
Dopo aver consegnato il comandamento nuovo (vangelo di domenica scorsa), Gesù ha annunciato il suo esodo da questo mondo al Padre, ma ciò suscita domande tra i discepoli: Pietro, Tommaso, Filippo e infine Giuda, «non l’Iscariota», gli chiedono di spiegare meglio le sue parole (cf Gv 13, 36; 14, 22). In particolare, la domanda di Giuda è quella che abita anche i nostri cuori di credenti: «Signore, perché tu ti manifesti a noi credenti e non ti manifesti pubblicamente al mondo, a tutti gli uomini?». Anche se abbiamo fede in Gesù, restiamo incapaci di assumere le conseguenze del nostro credere, del nostro aderire a lui, e così ci chiediamo: perché egli non ha compiuto segni, prodigi, azioni straordinarie, in modo da convincere tutti gli uomini? Perché ha scelto l’umiltà, la piccolezza, uno stile di voluto nascondimento? Perché non ha cercato il consenso, servendosi dei mezzi a lui disponibili per ottenere successo? Questa ottica è la stessa dei fratelli di Gesù, i quali lo avevano invitato a manifestarsi al mondo, in modo da costringere gli uomini a credere in lui mediante l’evidenza dello straordinario (cf Gv 7, 4).
Ma Gesù delude chi ragiona in questi termini, e ribadisce che ciò che conta non è l’ampiezza del «consenso», non è la quantità dei «conquistati»; no, l’importante è che vi sia un rapporto personale d’amore nei confronti di Gesù, non l’ammirazione che si può nutrire per un taumaturgo, per un operatore di miracoli. Infatti l’evangelista Giovanni annota che Gesù dice: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». Ciò che è decisivo, quindi, è il rapporto di conoscenza e di amore tra il credente divenuto discepolo e Gesù, «il Signore e il Maestro» (cf Gv 13, 14): in questo modo il credente diviene addirittura dimora di Gesù e del Padre! Ebbene, facciamo l’esame di coscienza e chiediamoci: noi amiamo realmente il Signore? Abbiamo fede in lui? Osserviamo la sua parola? Purtroppo la nostra fede è fragile e molte volte anziché affidarci e fidarci di Gesù confidiamo negli uomini. La prima lettura, infatti, ci insegna che il più delle volte ci attacchiamo alle cose marginali, esteriori, dimenticando l’essenziale.
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Per comprendere meglio facciamo alcuni esempi: la presenza a messa. Venire in chiesa e partecipare alla santa messa è importante, ma più importante è la conversione della vita: dobbiamo partecipare alla celebrazione eucaristica per cambiare, per migliorare, per crescere nel Battesimo, ossia nella fede. Eppure quanti si preoccupano di adempiere al precetto di venire in chiesa, santificare le feste, ma non si preoccupano del cambiamento della vita! A che serve essere stati a messa, se siamo stati presenti come statue fredde, che non accolgono e non ricevono nessun messaggio? La confessione: accusare i propri peccati è cosa buona, perché non solo riconosciamo la nostra fragilità ma anche perché chiediamo perdono al Signore. Ciò che è importante, dunque, nel sacramento della riconciliazione è sì l’accusa delle colpe, ma più importante è il pentimento del cuore. Eppure quanti credono di essersi confessati bene, solo perché hanno detto i loro peccati! Non basta! Ci vuole il pentimento sincero dei peccati affinché la confessione sia di giovamento per la nostra anima. La comunione: ricevere il Corpo di Cristo è importante, ma se noi ci nutriamo del santissimo Corpo del Signore e il nostro cuore è chiuso all’amore, alla carità, a cosa serve fare la comunione? Se nel nostro cuore c’è superbia, arroganza, rancore, cattiveria, con quale stato d’animo ci nutriamo del Corpo di Cristo? Questi esempi ci devono far riflettere ad essere vigilanti, attenti e pronti a verificare continuamente la nostra vita cristiana.
Però, se da una parte sentiamo il peso della nostra fragilità, dall’altra Cristo ci conforta con la certezza di una presenza: «Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto». Ciò significa che durante l’assenza fisica del Signore dovuta al suo dimorare presso il Padre, vi è da parte dell’Onnipotente stesso un grande dono: lo Spirito Santo, colui che ha funzione di Consolatore, di difensore, di «chiamato accanto» al credente. Lo Spirito ricorda tutto ciò che Gesù ha detto e fatto, rendendolo presente nella sua comunità e svolgendo la funzione di «Maestro interiore» – come lo chiama sant’Agostino – capace di illuminare e guidare la vita di ogni cristiano. Nel corso della vita terrena di Gesù, i discepoli avevano il suo insegnamento diretto, ma spesso non lo capivano perché il loro cuore non era in grado di accogliere le sue parole. Ma quando lo Spirito sarà presente nel cuore dei discepoli, allora scomparirà il «cuore indurito» (cf Mc 16, 14), perché il Maestro interiore renderà «il cuore capace di ascolto» (cf 1Re 3, 9), renderà il cristiano, il credente, capace di realizzare le parole di Gesù.
Il cristiano, dunque, non è mai solo, ma grazie allo Spirito Santo è dimora, casa, tempio della Presenza di Dio (cf 1Cor 3, 16; 6, 19). È lo Spirito Santo che ci rende consapevoli del dono lasciatoci da Gesù: la sua pace: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi». La pace di cui parla Cristo è completamente diversa dalla pace del mondo: la pace di cui parla Gesù resiste al dolore, alle prove, alle umiliazioni, alle privazioni di ogni genere. La pace del mondo, invece, è soltanto tregua; spesso frutto di paura e compromesso.
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Preghiamo Dio onnipotente affinché mandi il suo Santo Spirito a rinnovare la faccia della terra e ci renda capaci di testimoniare con la parola e con le opere tutto quello che Cristo, suo Figlio, ha fatto e insegnato.